sabato 29 agosto 2009

Dove è finita la fiducia dei consumatori!


Il calo del Consumer Confidence elaborato dall’Università del Michigan in agosto al livello più basso mai toccato,dal minimo segnato in marzo in concomitanza con i minimi segnati dai tre indici statunitensi ha rappresentato una doccia fredda per quanto si aspettavano il nono rialzo consecutivo del mercato azionario a stelle e strisce, anche perché già da qualche giorno operatori e investitori sembravano esitare di fronte alla tanta strada fatta in assenza di chiari e forti segnali di una inversione di tendenza dell’economia.

Un bell’articolo apparso nel web segnalava il rischio di dire che la crisi è già finita, non fosse altro che, al di là dei precedenti storici relativi al periodo intercorso tra il 1929 e il 1931, si tratta di una situazione già vissuta in questi due anni di tempesta perfetta, quando, dopo il crollo dell’ottobre 2008 sembrava che la situazione stesse migliorando, per poi precipitare nuovamente nel mese di marzo, periodo nel quale gli indici sprofondarono e le quotazioni di Citigroup e Bank of America, tanto per fare due esempi, toccarono livelli infimi e mai sperimentati in precedenza, per non parlare poi di quello che è accaduto alle azioni della General Motors o della Ford e a quelle di altre grandi compagnie operanti un po’ in tutti i settori.

Chiunque abbia una minima esperienza in materia di crisi finanziarie sa benissimo che quello da cui bisogna maggiormente guardarsi è la delusione rispetto alle promesse di miglioramento, perché sono quelle le fasi nelle quali anche coloro che, a torto o a ragione, avevano tenuto duro si lasciano prendere dal terrore maggiore per un investitore e che consiste nel fatto di trovarsi in mano titoli di poco o nessun valore, in particolare quando gli stessi quotavano in un passato recente decine di volte di più.

Il sondaggio dell’Università del Michigan è, tuttavia, leggermente migliore della prima lettura dedicata al mese di agosto, anche se credo francamente che buona parte di questo recupero rispetto al record negativo assoluto sia in buona parte legato alla grancassa suonata dagli ottimisti a un tanto al chilo, supportati nelle ultime settimane dal fior fiore dei banchieri centrali, ultimo in ordine di apparizione il Governatore della Banca d’Italia e presidente del Financial Stability Group, Mario Draghi, che ha avuto l’occasione di parlare al meeting di Comunione e Liberazione in corso in quel di Rimini il giorno prima del per la terza volta ministro italiano dell’Economia, Giulio Tremonti, e ha approfittato dell’occasione per dire, come già avevano fatto Bernspan e Trichet, che il peggio è passato anche se la ripresa tarderà un po’ a venire, il tutto condito dalla previsione che altre imprese chiuderanno i battenti e altri disoccupati si aggiungeranno a quelli che già vivono questa triste condizione, previsioni che non consentono di capire da quale parte verrà il supporto alla domanda effettiva.

Molto più duro, sia con gli economisti di professione che con i banchieri, è stato ieri Tremonti, che non si è limitato a dire che lo scoppio della tempesta perfetta era perfettamente prevedibile alla luce di quanto era accaduto negli anni e nei decenni precedenti, anche se era impossibile prevedere la data esatta dell’inizio della crisi, ma anche che quello che sta accadendo è che il denaro sta cambiando di tasca, con le perdite delle banche in buona misura ripianate grazie agli interventi massicci degli Stati e delle banche centrali, soldi che, direttamente o indirettamente, appartengono ai contribuenti, un trasferimento di rischi, al momento ancora di difficile quantificazione, che continua a non accompagnarsi con l’individuazione delle responsabilità in ordine al meltdown finanziario in corso