mercoledì 5 agosto 2009

I timori di Herr Ackermann! (terza parte)


Nel lodevole intento di lanciare a operatori e investitori la buona novella del raggiungimento, o perlomeno dell’avvicinamento, del punto di minimo della lunga fase di meltdown immobiliare negli Stati Uniti d’America, quattro redattori dell’Associated Press hanno unito le loro forze e prodotto un interessantissimo articolo dall’eloquente titolo: “Welcome to the bottom: Housing begins slow rebound”, un testo che è una vera miniera di informazioni sulle tendenze del mercato immobiliare residenziale nelle diverse aree in cui si suddivide per convenzione la grande nazione americana, incluse indicazioni sulle variazioni delle vendite sia di case nuove che ‘usate’, i relativi prezzi mediani e i cosiddetti delinquency rates, quel non pagamento puntuale delle rate del mutuo che porta più o meno invariabilmente alla procedura di esproprio e successiva messa all’incanto della casa del debitore moroso.

Si tratta di un’interessantissima analisi di confronto tra i dati dello scorso mese di giugno e quelli di gennaio di quest’anno e del giugno 2008, introdotta dalla quantificazione in 4 mila miliardi di dollari del valore perso rispetto ai picchi toccati tra il 2005 e il 2006, cui rinvio volentieri i lettori interessati, anche perché, alla luce del tema oggetto di questa serie di puntate, mi limiterò a prendere in esame i dati relativi ai delinquencies rates nelle diverse aree geografiche, uno dei dati che, peraltro, è caratterizzato da una variabilità molto più scarsa rispetto agli altri fenomeni presi in esame.

A solo titolo di memoria, vorrei ricordare che il segmento dei mutui immobiliari residenziali, sia quelli relativi all’acquisto che quelli di rifinanziamento, ammontava a circa 10,6 mila miliardi di dollari nell’agosto del 2008, un livello che dovrebbe essersi oggi un po’ eroso sia a causa del minore turn over che per la chiusura di milioni di procedure di foreclosure.

Pur non disponendo dei dati quantitativi che consentirebbero di giungere a una media ponderata del deliquency rates a livello nazionale, è certo che lo stesso non si pone a livelli inferiori all’11 per cento, visto che varia da un minimo del 10,4 nel Northeast a un massimo del 12,7 per cento nel South, mentre è dell’11,5 per cento nel Midwest e del 12,0 per cento nel West, anche se, ovviamente, prendendo in esame i singoli Stati o le Contee, la variabilità crescerebbe e di molto.

Allo stato delle cose emerge quindi una perdita lorda nell’ordine dei mille miliardi di dollari, una cifra cui andrebbero sottratte le somme realizzate mediante le vendite all’asta e aggiunte le spese relative alla procedura di foreclosure (tempo fa stimate in 50 mila dollari in media), ma il problema è rappresentato dal fatto che la perdita netta è largamente influenzata dalla pressione verso il basso dei prezzi dovuto al notevole peso delle procedure di asta sulle vendite complessive, un peso che in alcune zone è pari a un terzo, mentre in altre raggiunge e supera la metà.

Le perdite potenziali delle singole banche statunitensi dipendono largamente dalla specifica quota di mercato, nonché dalla ‘qualità’ di questa parte dell’attivo, due ordini di considerazioni che non fanno certo dormire sonni tranquilli ai vertici di Bank of America, che, dopo l’acquisizione di Countrywide, non solo ritrova a essere il primo operatore privato nel settore dei mutui, ma ha anche ereditato il frutto delle disinvolte pratiche dell’ex numero uno dell’acquisita, Angelo Mozilo, ma il problema tocca ovviamente tutte le maggiori banche statunitensi, banche che spesso ai loro guai hanno dovuto aggiungere quelli delle banche acquisite, ma di questo e di altro parlerò nella quarta e ultima parte domani!