lunedì 31 agosto 2009

Si allunga la lista di banche USA a rischio!


Come in quasi ogni fine settimana dall’inizio dell’anno, anche in quello appena trascorso la Federal Deposit Insurance Corporation e le altre autorità preposte al corretto funzionamento del settore bancario hanno disposto la chiusura di alcune banche, in questo caso nel numero di tre e, per fortuna, di dimensioni medio piccole, portando così a 84 il numero dei fallimenti bancari nei primi otto mesi del 2009, contro i 25 del 2008 e i 3 del 2007, l’anno nel quale ha preso il via la tempesta perfetta.

Come ha ricordato di recente Sheila Bair, presidentessa del FDIC, quello bancario è un settore che accusa in ritardo le difficoltà dell’economia, anche se, mai come nel caso di questa crisi finanziaria, tutto è iniziato nel settore del credito, anche se a causa dell’operatività di una branca particolare di attività quale la finanza più o meno strutturata, attività caratteristica delle Investment Banks e delle divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali, ma il problema è che ora le banche sopravvissute ai problemi autogenerati devono fare i conti con la marea montante di insolvenze legate ai default delle famiglie e delle imprese.

Il primo a porre la questione dell’ondata di ritorno sulle banche dei guasti prodotti dalla recessione ufficialmente avviatasi negli Stati Uniti d’America nel dicembre del 2007 è stato il numero uno della Deutsche Bank, Joseph Ackermann, con una dichiarazione che avrebbe dovuto mandare a picco i titoli della sua e delle altre banche, cosa che non si è realizzata, almeno a vedere gli andamenti recenti delle quotazioni dei titoli della maggiori banche globali, anche per la ragione che operatori e investitori non le lasceranno fallire, come è invece accaduto per Lehman Brothers e per le altre 111 banche a stelle e strisce chiuse d’autorità.

Il problema è che la lista delle banche statunitensi a rischio secondo la stessa FDIC sono passate da 305 nel primo trimestre del 2009 a 416 nel secondo trimestre, un numero davvero preoccupante, ma ancor di più lo è l’incremento verificatosi in un lasso di tempo di appena tre mesi, per non parlare poi del fatto che la stessa lista è rigorosamente top secret, una circostanza che non fa dormire sonni tranquilli a tutti coloro che hanno depositi superiori a quella soglia di 250 mila dollari che vengono integralmente garantiti dall’organismo presieduto dalla Bair, che peraltro ha visto ridursi la sua dotazione a poco più di 10 miliardi di dollari, dopo averne persi 3,6 nel secondo trimestre dell’anno.

D’altra parte, quando il tasso di morosità sui mutui giunge al 13 per cento e quello sulle carte di credito è previsto portarsi a breve al 14 per cento, è evidente che le banche destinate ad andare incontro a un pericolo di difficoltà tendono a crescere, anche se è presto per dire quante tra esse siano destinate a chiudere i battenti e quante potranno sopravvivere grazie agli accantonamenti e alle riserve.

Quello che è certo è che i governi e le banche centrali hanno davvero raschiato il fondo del barile nella prima fase della tempesta perfetta, interventi che, peraltro, non sono stati assolutamente sufficienti a ridurre in maniera significativa l’altissima montagna di titoli più o meno tossici della finanza strutturata che ancora sono presenti al di sopra e al di sotto della linea di bilancio delle banche di tutto il mondo sussidiate con aiuti statali per migliaia di miliardi di dollari, il che sta a dire che quella che si apre in concomitanza con le dichiarazioni di prossima uscita dalla crisi, rischia di essere davvero una fase molto peggiore di quella che abbiamo vissuto dal 9 di agosto del 2007 a oggi.