mercoledì 2 settembre 2009

I mercati snobbano le buone notizie!


Ci sono dei giorni nel corso di questa tempesta perfetta che sembrano la fotocopia di quello precedente ed è un po’ quello che è accaduto ieri, un giorno che sarebbe interpretabile quasi con le stesse, identiche parole che ho utilizzato nella puntata di martedì del Diario della crisi finanziaria, eppure una differenza tra le due giornate esiste e non è da poco, in quanto ieri vi erano davvero tutte le premesse per un forte recupero degli indici azionari, un rialzo che poteva trarre alimento da due notizie entrambe positive, una legata al fatto che le vendite di case esistenti hanno raggiunto il punto più elevato degli ultimi due anni, mentre l’altra è legata al superamento della soglia di 50 da parte dell’indice manifatturiero nazionale, una conferma di quanto era già avvenuto, sempre con riferimento al mese di agosto, da parte di similari indici locali.

A dire la verità, la diffusione delle due notizie ha prodotto una temporanea e alquanto illusoria spinta ai tre principali indici azionari statunitensi, tornati per poco tempo in territorio positivo, così come ha consentito al prezzo del petrolio di rifare capolino al di sopra della soglia dei 70 dollari al barile, ma, come dicevo, si è trattato di un momento che non ha occupato nemmeno lo spazio di un mattino, a dimostrazione che le preoccupazioni degli investitori, soprattutto di quelli individuali sono legate proprio ai livelli raggiunti di recente dall’azionario a stelle e strisce, con particolare riferimento alle quotazioni delle azioni delle maggiori banche.

Certo, non sono mancate del tutto notizie negative, quali la perdita miliardaria delle compagnie aeree nel primo semestre e la contrazione della spesa per costruzioni, un dato aggregato che vede una sensibile crescita delle spese per l’edilizia residenziale sovrastata dal netto calo delle costruzioni non residenziali e una battuta d’arresto nei programmi relativi ai lavori pubblici, notizie che fanno capire come, nonostante lo sforzo eccezionale dell’amministrazione e delle autorità monetarie, la recessione e la deflazione abitano ancora tra di noi sia al di qua che al di là dell’Oceano Atlantico, non che le cose in Asia vadano davvero meglio, in particolare in un paese ancora importante come il Giappone.

Come ho scritto più volte in questi mesi, il rally dell’orso e il rialzo del prezzo del petrolio non sono state il frutto di un improvviso ripensamento da parte degli investitori individuali, pentiti di aver affondato titoli storici a livelli mai visti in precedenza, quanto, invece, sono stati il frutto di scommesse rilevantissime e in buona parte alimentate dai fondi pubblici provvisti dal TARP e dalla liquidità abbondante e a tasso prossimo allo zero fornita dal sistema della riserva federale alle banche statunitensi e dalla Banca Centrale Europea e dalla Bank of England a quelle poste al di qua e al di là del canale della Manica, un’azione coordinata e continua che è riuscita, almeno sino alla settimana scorsa, a far salire sul carro anche un esercito di investitori individuali, timorosi di perdersi il bello della festa.

Alla base di questa pausa di riflessione vi sono ragionamenti in fondo elementari ma di estrema evidenza, quali la persistente ed elevatissima disoccupazione, ieri salita in Europa al 9,5 per cento, i livelli della produzione industriale ostinatamente inferiori di decine di punti percentuali a quelli toccati prima dell’avvio della tempesta perfetta, la prosecuzione dello sciopero degli investimenti in titoli più o meno tossici della finanza strutturata e, the last but not the least, la vera e propria ondata dei default di famiglie e imprese che minacciano sempre di più i conti economici delle banche, tutti elementi che rischiano seriamente di sovrastare i pur rilevanti flussi di ricavi provenienti dall’attività di corporate & investment banking!