lunedì 31 ottobre 2016

Ora anche la Gran Bretagna non si fida più di Deutsche Bank!


Devo dire francamente che resto ammirato, ma anche con un sovrappiù di inquietudine per la resistenza di Deutsche Bank rispetto ad una gragnuola di colpi, alcuni in grado di mandare KO qualsiasi altra istituzione finanziaria che non sia questa banca basata a Francoforte a pochissima distanza dal grattacielo che ospita la Banca Centrale Europea, dove, non distanti da Mario Draghi sia in senso geografico che empatico,  operano le donne e gli uomini alle dipendenze di Madame Nouy, capo della vigilanza europea presso la BCE.

Pur essendo vero che la resistenza estrema di Deutsche a decine di filoni di indagine, multe o sanzioni di ogni ordine e dimensione per decine di miliardi di euro, processi conclusi e altri (vedi per tutti il coinvolgimento massiccio della banca globale tedesca dai piedi di argilla nella falsificazione, via derivati farlocchi che si sono poi rivelati veri e propri impieghi non dichiarati con una differenza di impatto sui ratio patrimoniali che oramai è alla portata di qualsivoglia lettore di questo blog) ancora in corso, per non parlare del "negoziato" con il Dipartimento di Giustizia per la ridefinizione della multa da 14 miliardi di dollari, è basata su fatti molto profondi nelle società e nell'economia del paese teutonico.

Ebbene questa estrema capacità di resistenza è legata al fatto che tutti sanno che Angela Merkel e Wolfgang Schauble, rispettivamente Cancelliera e Ministro delle Finanze, non lascerebbero fallire né Deutsche Bank, né Commerzbank, ma la garanzia dell'ombrello governativo, ovviamente non formalizzato ma esistente da sempre nei fatti, è di fatto estesa a tutte le landesbanken e le sparkassen, elementi fondamentali per il sistema di consenso dei due (sono tre con la CSU) partiti che ora coabitano nella Grosse Koalition e che proprio per questo sono ancora più pericolosi, anche perché non credo che né la Linke, né gli alquanto ininfluenti Verdi oserebbero muovere obiezioni al salvataggio del risparmio dei tedeschi, quel risparmio che, insieme ad un terrore atavico nei confronti dell'inflazione, è alla base del patto costitutivo fondante della Germania sorta dalle ceneri del secondo conflitto mondiale e della estrema centralizzazione dell'economia nazista.

Questa resistenza si è parzialmente incrinata dopo un uno-due che avrebbe messo al tappeto qualsivoglia altra banca globale e che era rappresentato dal combinato disposto della già citata multa miliardaria imposta a Deutsche dal Governo degli Stati Uniti d'America e dal ricorso sempre di autorità del Governo statunitense a un giudice federale chiamato a decidere se intimare alla banca tedesca di nominare una personalità competente, ma soprattutto "indipendente", chiamata a dire una parola definitiva sulla montagna di derivati e titoli più o meno tossici custoditi nella pancia di quelle due divisioni di Corporate and Investment Banking di cui si è dotata, dai tempi della scellerata gestione assolutistica di Josip Ackermann, l'uomo che ha le maggiori responsabilità nella deriva più che decennale di Deutsche e al quale, solo nelle settimane scorse il nuovo CEO John Cryan ha deciso di togliere bonus dei quali godeva ad oltre quattro anni dalla sua repentina uscita dalla banca, qualcosa che assomiglia in verità più ad una fuga precipitosa per approdare alla compagnia di assicurazioni Zurich, dalla quale fu cacciato meno di un anno dopo!

Ma non era finita qui, perché, dopo una più che irrituale notizia filtrata dal Dipartimento di Giustizia USA che parlava di un fortissimo ridimensionamento della multa da 14 a poco più di 5 miliardi di dollari (evento che poi nelle settimane successive non è stato confermato) e che è servita ad allontanare l'azione di Deutsche dall'ignominia dei 9,90 euro, è sopraggiunta la decisione pressoché contemporanea di dieci Hedge Funds che hanno ritirato miliardi e miliardi di dollari, riducendo al contempo l'esposizione nei confronti della banca di Francoforte, il tutto quando si mormora di un'azione discreta della Federal Reserve per conoscere dalle principali istituzioni finanziarie il livello della esposizione nei confronti della sempre più malmessa banca tedesca che, lo ricordo per quanti si siano sintonizzati solo ora con Il Diario della crisi finanziaria, viene orami definita un rischio sistemico sia da Christine Lagarde, numero uno del Fondo Monetario Internazionale che da Mario Draghi, per nostra fortuna e per quella di tutti gli altri paesi della Eurozona, ancora presidente della BCE.

Mentre credo che, con molta discrezione, le principali banche operanti nella Eurozona sono sollecitate dalle banche centrali nazionali di competenza a fornire informazioni più o meno dettagliate sulla loro esposizione nei confronti di Deutsche, è ufficiale che le Autorità Monetarie britanniche hanno chiesto alle banche operanti nel Regno Unito di fornire informazioni dettagliate sull'esposizione di quella Deutsche che ha presentato a sorpresa conti in utile nel terzo trimestre di questo anno di disgrazia 2016 per qualche centinaio di milioni e lo ha fatto solo perché il baratro miliardario della banca è stato più che compensato dall'utile di 2,6 miliardi di euro di una delle sue due CIB!

* * *

E' uscita nel week end la seconda puntata de "L'amara lezione della Tempesta Perfetta", una serie che d'ora in poi uscirà di sabato e resterà in testa al blog anche la domenica. Ringrazio i lettori per l'accoglienza della prima uscita, ricordando che in queste puntate fornirò delucidazioni sull'armamentario teorico che sono alla base dell'attività di contro informazione del Diario della crisi finanziaria, una serie di strumenti che rendono maggiormente comprensibili alcuni passaggi di questo sforzo, del tutto pro bono, che va avanti dal settembre del 2007.


venerdì 28 ottobre 2016

Ma cosa esporta la Gran Bretagna?


Siamo alle solite: lo sforzo corale degli analisti operanti al di qua e al di là dell'Oceano Atlantico sembra, a partire da quel 24 giugno nel quale gli abitanti dell'Unione europea e quelli del resto del mondo scoprirono con relativa sorpresa che il 52 per cento degli elettori aveva scelto il Leave (mentre il 48 per cento aveva optato per il Remain), quello di dire che Brexit o non Brexit (o, come direbbe la nuova Lady d'alluminio britannica, Brexit is Brexit), l'economia del regno Unito non avrebbe avuto a soffrirne, come fanno anche ora che la crescita del prodotto interno lordo nel terzo trimestre è scesa "solo" dello 0,2 per cento, passando dal +0,7 del secondo trimestre al +0,5 attuale, una frenata di poco meno di un terzo della crescita in un periodo, quello estivo, notoriamente favorevole per l'andamento dell'economia del regno di Sua Maestà britannica Elisabetta Seconda che, novanta anni suonati e lungamente festeggiati, proprio non vuole sapere di cedere lo scettro al povero Carlo, Prince of Wales, che oramai sembra quasi più vecchio di lei e del suo augusto consorte, entrambi notoriamente di nobile discendenza germanica.

Eppure, i lettori più assidui e affezionati del Diario della crisi finanziaria sanno bene che ho dedicato diverse puntate a dire che gli ottimisti sull'esito della Brexit spendevano energie degne di miglior causa, ma che, e forse soprattutto, le previsioni del Governo di Sua Maestà e della Confindustria di quella che un tempo veniva definita Albione, o perfida come aggiungeva qualcun altro, sui danni ingenti e non transitori che la più che prevedibile Brexit avrebbe portato a quel civilissimo anche se un po' sfaticato popolo, che senza i tre milioni di immigrati comunitari e non so quanti provenienti dal Commonwealth starebbe alla frutta, avrebbero portato, in serie, ad una radicale svalutazione del GB Pound, ad una crescita rilevante dei prezzi al consumo e all'ingrosso e ad una possibile fuoriuscita di banche di ogni ordine e dimensione alla ricerca di molto salvifico passaporto europeo abilitante ad operare liberamente nel Vecchio Continente nonché nel resto del mondo!

Sarà perché sono da sempre un analista fondamentale e che sono un cambista di adozione avendo svolto le mansioni un po' perigliose di economista della sala cambi di una un tempo importante e primaria banca italiana, ebbene devo dire che la dimensione della svalutazione istantanea, e salvo qualche breve fase di surplace, avvenuta già nella notte dei conteggi elettorali, mi ha sorpreso, non prevedendo certo che, nei confronti del dollaro, saremmo andati indietro di un trentennio, a quella fase di sconquasso nello SME che vide la valuta britannica costretta a svalutare in tandem con la lira italiana, sotto i colpi martellanti di una speculazione che sarà pure stata capitanata dal Corsaro George Soros e dai suoi compagni della filibusta, ma anche una drastica svalutazione che tranne qualche zero virgola ci stava proprio tutta.

Allora, nei giorni appena successivi a quelli in cui si è appena svolto il primo Consiglio dei capi di Stato e di Governo dei 28 paesi membri dell'Unione europea e il primo cui ha partecipato Theresa May come nuova inquilina di Downing Street, ci si rende conto, una volta di più, dell'assoluta impreparazione del Regno Unito di fronte al difficilissimo e lunghissimo negoziato per stabilire i termini dell'uscita dalla UE, ma vi è la sorpresa relativa al fatto che il negoziato in materia di libero scambio brillantemente conclusosi con il Canada è bloccato dall'opposizione della Vallonia, parte dello Stato federale del Belgio (questione poi risolta in piena zona Cesarina nella giornata di ieri, ma intanto la firma ufficiale dell'accordo è, almeno per ora, saltata, con grande scorno delle rispettive diplomazie!).

Un quadro poco roseo e dal quale si capisce, quindi, che la stessa ratifica a fine 2019 o ad inizio del 2020 del trattato che regolerà gli scambi tra United Kingdom e la UE non può da nessuno essere data per scontata, ma vi è di più, perché una battagliera imprenditrice inglese sta bloccando davanti all'Alta Corte di Londra il Governo di Sua Maestà sulla non secondaria questione circa il fatto di capire se l'attivazione dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona può essere liberamente ed autonomamente fatta dal nuovo Governo britannico o se, come sostiene a suon di precedenti self explaining la ricorrente, debba passare per un voto delle due Camere di cui si compone il molto originale Parlamento inglese, con la Camera dei Lord già schierata per la bocciatura della automatica operatività dell'esito di un  referendum che è visto come infausto dalla maggioranza della prima linea della nobiltà britannica.

Ma venendo finalmente alla questione degli eventuali effetti benefici della svalutazione del Great British Pound sulla alquanto disastrata bilancia commerciale britannica che, nell'ultimo dato che ho trovato e relativo al 2014, segnava un passivo di 191 miliardi di dollari, disavanzo dato da esportazioni per 472 miliardi e importazioni per 663 miliardi, e che segnalano un sostanziale pareggio nel settore automobilistico, primo sia per importazioni che per esportazioni con importi che si discostano di non molto tra di loro, mentre la stessa cosa non vale per le due voci che riguardano il greggio e il petrolio raffinata, dove la differenza tra l'export di un paese che pure è un non marginale produttore di petrolio come la Gran Bretagna e l'import balla un po' paradossalmente per qualcosa come 15 miliardi di dollari in favore dell'import, ma il problema in questo caso, come per l'oro che rappresenta la seconda voce dell'export, è dato dal fatto che la valuta di scambio utilizzata, con grave scorno delle residue ambizioni imperiali del popolo britannico è tuttora il dollaro statunitense e non certo la sterlina.  Seguono i medicinali, le turbine a gas e, per percentuali minori, altri settori merceologici e produttivi.

Altro e ben più complesso discorso sarebbe quello della nazionalità effettiva delle imprese di tutti i settori considerati e di quello ben più significativo rappresentato da banche e finanza che rappresentano da sole il quindici per cento circa del prodotto interno lordo britannico, ma, pur premettendo che se ne vedrebbero delle belle, si tratta di una questione che affronterò in un futuro molto prossimo, essendo questo un argomento in grado di gettare un faro sulle scelte prossime venture di una parte significativa di banche e imprese in materia di ubicazione della propria sede legale.

Non vi è dubbio che un effetto della massiccia svalutazione valutaria sull'export vi sarà, così come appare scontata la spinta all'incremento dei prezzi all'importazione derivante dalla stessa variazione negativa della sterlina, un movimento che finirà inevitabilmente per incidere (al netto delle scelte delle maggiori catene distributive legate al consumo finale che potrebbero decidere di accollarsi, su base si intende temporanea, tutta o parte la variazione negativa della sterlina sui prezzi finali di beni e sevizi di importazione)  sulla borsa della spesa del bravo e onesto suddito di Sua Maestà, a prescindere ovviamente da come abbia votato nella fatidica giornata del 23 giugno di quest'anno di disgrazia 2016!

mercoledì 26 ottobre 2016

Perché Jamie Dimon (JPM) ha vinto in Monte dei Paschi di Siena!


Quando un bravo giornalista di un importante quotidiano riuscì a parlare con il da poco ex amministratore delegato ed ex direttore generale del molto malmesso gruppo creditizio Monte dei Paschi di Siena, Fabrizio Viola, credeva probabilmente di trovarsi di fronte un uomo vinto ed abbattuto e, invece, ebbe la sorpresa di parlare con una persona felice di raccontare la sua verità su quei quattro anni a Rocca Salimbeni, con le soddisfazioni e le amarezze che porta il prendere in mano un dossier pesante e addirittura grondante del sangue di una delle persone al vertice della banca andato incontro giovanissimo  ad una fine ancor oggi misteriosa ma dove tutto sembra escludere la frettolosa tesi iniziale del suicidio, un impegno che Viola ha affrontato con lo stesso coraggio e la stessa determinazione dimostrate alla Banca Popolare di Milano, quella dove operava un gruppo di potere trasversale che un magistrato inquirente ebbe a definire la Cupola, e che spinse, senza troppi riguardi l'allora giovane banchiere dritto, dritto all'uscita; mentre per il futuro del banchiere ebbe l'altrettanta sorpresa di scoprire che aveva appena rifiutato impegni al vertice di altre banche e stava meditando su un suo impegno al di fuori di quel settore creditizio che gli aveva dato tante gioie, ma anche tante amarezze.

Il bravo cronista, interessato più  agli avvenimenti più recenti che agli scontati profumi di massoneria e altri gruppi di potere sprigionati dalle due Rocche intorno alle quali ha ruotato dal 27 febbraio 1472 il sistema di potere in quel di Siena, usò uno dei trucchi del mestiere, mettendo in bocca ad altri, consiglieri di amministrazione della banca, persone vicine al dossier e chi più ne ha ne metta, la chiara e netta ricostruzione degli avvenimenti di quell'inizio di settembre di questo anno di disgrazia 2016, nel quale il banchiere romano ricevette la telefonata di un ministro della Repubblica e primo azionista della banca con il 4 per cento delle azioni, una breve conversazione nella quale il ministro, in buona sostanza, lo invitava di farsi da parte, sostenendo, inoltre, di parlare a nome di tutto l'Esecutivo, una telefonata che confermava in Viola quella sensazione di isolamento durata tutta l'estate nel corso della sua estenuante opera di interdizione delle pretese avanzate dagli uomini di J.P. Morgan, advisor, insieme a Mediobanca e Banca Lazard, dell'aumento di capitale e della rottamazione di ben 27 miliardi e rotti di euro di sofferenze lorde destinate, sin dall'inizio e con il consenso del Governo, ad essere smaltite dal Fondo Atlante, o, meglio, dal suo clone Atlante 2 da poco costituito e avente proprio questa unica mission.

Ma quale era, o meglio quali erano, la/e materia/e del contendere tra i bruschi emissari di Sua Eminenza Jamie Dixon e il banchiere romano che, prima di MPS, è stato alla guida di diverse banche, BPM, come si è visto, compresa? Ebbene, sono presto detti: in primo luogo, Viola aveva rimandato al mittente la proposta alquanto oscena di slegare i compensi per i tre advisor dal risultato, il che, detto in soldoni, significava che le tre banche d'affari, JPM è qualcosa di diverso e di più ma in questa situazione si muoveva come le altre due banche partner che, inoltre, lasciavano alla banca USA il ruolo di interlocuzione con il Top Management di MPS, avrebbero ricevuto la loro corposa percentuale, si parla di tanti, ma tanti soldi, anche se non avessero portato nemmeno un investitore interessato a partecipare all'aumento di capitale della banca senese, il che era drammaticamente vero a fine agosto o, almeno, lo era e un po' volutamente, prima della visita non a sorpresa dello stesso Dimon ai palazzi del potere romani, una serie di abboccamenti che spazzavano via tutti i dubbi residui dei nostri governanti e li convincevano che Fabrizio Viola era un ostacolo sul percorso di risanamento della più antica banca italiana, quella sulla quale non era e non è politicamente accettabile fallire.

In secondo luogo, i tre advisor, sempre per bocca degli emissari di JPM, chiedevano che l'aumento di capitale, non importa che sia di tre o di cinque miliardi, dovesse essere effettuato attraverso la sottoscrizione di accordi di pre underwriting da parte dei soggetti istituzionali interessati, una strada che escludeva di per sé in tutto o in larga misura il fastidioso diritto di opzione in capo agli attuali azionisti, quelli, per intenderci, che in buona parte hanno in carico le azioni di MPS a diversi euro e che, fino al rimbalzo delle sedute scorse, vedevano il valore dell'azione scendere pericolosamente nell'area dei sedici centesimi. (ma il piano eliminerà questo spettacolo osceno accorpando 100 vecchie azioni "leggere" in un'azione "pesante" e molto più gradevole da vedere, anche se dematerializzata era e dematerializzata rimane!) Ai detentori di azioni della banca senese non sarebbe rimasto altro che assistere impotenti all'ulteriore ed estrema diluizione del valore della carta straccia gelosamente custodita per anni.

In terzo luogo, JPM e le sue auguste sorelle chiedevano a Viola che a partecipare al bottino delle sofferenze lorde non fosse soltanto il Fondo Atlante ma che potessero partecipare anche altri soggetti italiani, ma soprattutto internazionali, attirati dalla possibilità di realizzare plusvalenze cospicue tra il presumibile valore di realizzo delle cessioni (fissato nel Piano al 33 per cento del valore nominale di crediti più interessi)  e quello che queste entità un po' vampire avrebbero potuto ricavarne grazie alla loro indubbia expertise ed ai loro metodi alquanto discutibili. 

C'era poi il discorso relativo ai tempi, perché Viola voleva fare tutto in un colpo solo, e anche prima della data di quel giudizio finale per il Governo italiano che è il referendum costituzionale, approfittando della benevolenza europea verso un'eventuale garanzia pubblica, benevolenza che potrebbe non durare nell'arco temporale fino alla fine del 2018 offerto dalla Vigilanza della Banca Centrale Europe.

Ma il Fondo Atlante si deve essere accorto dei riflessi sull'esclusiva che aveva ricevuto sia dal Governo che dagli organismi di vertice del Monte dei Paschi di Siena e del clima di incertezza post Viola, perché si è affrettato a concludere l'accordo sulla prima tranche di sofferenze lorde fissando anche il prezzo a 1,6 miliardi di euro, pari, appunto a quel 33 per cento del valore nominale dei crediti ceduti da MPS e che sembra non valorizzare le garanzie reale e personali che assistono buona parte di questi crediti in sofferenza.

Solo una lettura completa del piano industriale (approvato dopo una riunione troppo lunga per poter dire che tutto è filato liscio per Morelli, anche perché su lui e gli altri consiglieri vi sono troppe attenzioni per compiere passi falsi, per non parlare del fatto che quello su cui tutti i giornali scriveranno non è altro che un ampio e ben fatto comunicato stampa) potrà farci capire quante delle condizioni posti da JPM e dalle sue sorelle siano state accolte, mentre per confermare l'esclusione totale o parziale del diritto di opzione in capo agli attuali azionisti, Tesoro dello Stato italiano compreso, così come per la spartizione del bottino delle sofferenze bastano e avanzano i lanci, molto ispirati, di agenzia, mentre per quanto riguarda i tempi, è confermato che il tutto è destinato a concludersi entro l'anno!

Ovviamente, assistiamo ad un forte appesantimento del conto economico di MPS, con un utile dei nove mesi informe sofferenza, dopo l'utile registrato dalla banca senese, nei primi sei mesi, ma, soprattutto, in vista di un chimerico utile di 1,1 miliardi nel 2019 (nel 2023 come diceva la celebre canzone italiana), mentre per l'anno di disgrazia 2016, che sarà gravato dalle perdite integrali relative alle cessioni delle sofferenze, il rosso sforerà i 5 miliardi di euro (4,83, per la precisione).

martedì 25 ottobre 2016

L'euro Armageddon o la disfida di burletta?


La vita si ripete e, come si dice, una volta lo fa in tragedia, la seconda in farsa e così per la disfida apparentemente all'ultimo sangue tra Junker e Renzi, uno scontro che pare più un gioco delle parti per favorire il Governo italiano alle prese con la marea montante del populismo con il suo esercito di "leoni della tastiera" e dei tanti "commissari tecnici della nazionale di calcio" che non mancano mai nel nostro paese ed è per questo che ripubblico volentieri, dopo le bordate di lunedì a palle incatenate tra il Presidente della Commissione europea e il nostro Premier, questa puntata sull'argomento di qualche settimana fa senza toccare neppure una virgola, mentre ricordo incidentalmente che è scaduto da qualche giorno il termine entro il quale la Commissione poteva respingere al mittente il testo della manovra e nulla è accaduto!

Quando il Commissario europeo agli Affari Economici, Moscovici il solitamente severo tranne che nei confronti dei conti del suo paese di origine, competente per statuto a dare le pagelle ai paesi membri dell'Unione e a vidimarne le leggi di bilancio, si era espresso, in modo molto irrituale in favore dell'approvazione della legge di bilancio italiana (anche per contrastare il fenomeno oramai dilagante del populismo) in margine dei lavori del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale  svoltisi qualche settimana fa e in quel di Washington, due persone almeno sono rimaste deluse.

Mentre l'individuazione del primo non desta problemi, in quanto si tratta dell'arcigno ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schauble, che vedeva ancora una volta, e senza battaglia, trionfare le ciarliere e piagnone cicale italiane popolanti un Paese che aveva osato mettere in discussione la libertà e la liceità della Germania di fregarsene da sempre del vincolo posto dalle norme europee, quelle stesse per le quali lui e la sua cancelliera invocano l'assoluta sacralità e l'inviolabilità, quando le stesse riguardano l'avanzo commerciale che non dovrebbe superare, per tre anni consecutivi, il 6 per cento del prodotto interno lordo, mentre da sei anni la Germania ha bellamente sfondato questa soglia e, nel 2015, ultimo dato disponibile, si è avvicinata al 9 per cento, senza che da Bruxelles venisse un fiato e, non fosse stato per quel ragazzino indisciplinato del Premier italiano,  nessuno ne avrebbe parlato!

E il problema per il potente uomo politico tedesco era rappresentato dal fatto che un altro italiano, assist da qualche anno sullo scranno più elevato di quella Banca Centrale Europea, l'uomo regnante il quale si era completato quel processo che aveva ridotto l'un tempo potentissima Bundesbank al rango di Cenerentola, costretta a vigilare sulle landesbanken e sulle sparkassen, banche di poca importanza rispetto ai colossi Commerz e, soprattuto Deutsche, ebbene quel sosia di Ives Montand in sedicesimo si era permesso e di fronte al Parlamento tedesco riunito in sessione plenaria di dire che il tanto vituperato programma di Quantitative Easing aveva permesso, nel solo 2015, risparmi per ben 28 miliardi di euro e, lasciando intendere che cospicui risparmi erano stati conseguiti anche nei primi anni di applicazione del programma, mentre, per quel 2016 che aveva registrato un crollo degli yield sui Bund, le cose sarebbero davvero andate alla grande.

Quando dico Schauble, ricoprendo nel suo nome le posizioni dell'Olanda (che pure da un po' di tempo a questa parte ha i suoi di problemi), l'Austria, i Paesi del Nord europa e di quelli che non troppo tempo fa definiti satelliti dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, paesi del tutto allergici ai migranti che pure, in base al piano di ripartizione faticosamente individuato a Bruxelles, dovrebbero accogliere, tutti infuriati con il davvero inedito buonismo mostrato dal Commissario francese, un uomo che sino a quel momento era proprio nelle loro corde.

Ma la vera sorpresa  sta nell'individuazione dell'altro scontento da questo inedito approccio mieloso di Moscovici, anche perché, almeno sulla carta, ne sarebbe il maggiore beneficiario e, cioè il Presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, che di tutto ha bisogno in questo momento meno che di un'approvazione sul velluto della manovra per il 2017; confesso che per capire che le cose stavano così ho dovuto fare appello alle mie frequentazioni negli anni Ottanta della sala stampa di Palazzo Chigi, aulico luogo nel quale colleghi esperti mi spiegavano che erano non pochi i Premier italiani pentapartitici che chiedevano segretamente all'Europa, allora si diceva così, di bacchettarli al fine di far passare misure che loro stessi e i loro consiglieri avevano escogitato.

D'altro canto, un Presidente del Consiglio di nomina molto più recente è stato debitore all'Europa e allo Spread, che poi in estrema sintesi è la stessa cosa, oltre che all'attivismo degno di miglior causa dell'allora Capo dello Stato, della sua investitura alla guida di un Governo che non pochi danni ha fatto per qualcosa di meno di un biennio, ma che a lui ha lasciato la carica di Senatore a vita che è stata un po' la sua assicurazione sulla vita!

Ecco dunque che la Commissione e il suo Capo, Junker, diventano improvvisamente intransigenti, mentre il Premier italiano, dopo l'arma del surplus commerciale tedesco non sanzionato, impugna quella dei deficit altrettanto non sanzionati di Francia, Spagna, Portogallo e compagnia cantante, e cerca di imitare i Premier britannici che negoziavano fermamente la tassa di iscrizione annuale alla UE, nel nostro caso 20 miliardi, e tutto questo per una contestazione di uno 0,1 per cento nel rapporto tra deficit e PIL.

Insomma, ho l'impressione, condivisa da qualche osservatore più smaliziato di me, che tutta questa guerra sul nulla sia fatta esclusivamente per motivi di politica interna del nostro Paese e che mostrare, a quaranta giorni dal voto referendario, i muscoli con e nell'ambito dell'Europa potrebbe essere una mossa alquanto astuta e tutto si può pensare del giovane Premier italiano meno che sia un ingenuo o uno sprovveduto. E, come nota Fabio Martina su La Stampa di ieri, l'Italia farà come quei pugili che si avvinghiano l'uno all'altro senza colpirsi, il che significa che si entrerà in uno scambio di deduzioni e controdeduzioni che porterà i contendenti a giungere entrambi indenni alla Primavera del 2017.


lunedì 24 ottobre 2016

Una nuova iniziativa del Diario della crisi finanziaria


Da ieri e per diverse domeniche, il Diario della crisi finanziaria presenterà un'analisi ragionata delle cause profonde  e, in certi casi, pluridecennali della Tempesta Perfetta, la più grave finanziaria dal secondo dopoguerra, che imperversa pressoché ininterrottamente dal 9 agosto 2007, ma i cui chiari segni premonitori erano chiaramente avvertibili nel biennio precedente; la serie è intitolata: "L'amara lezione della Tempesta Perfetta" di cui ieri è uscita la prima parte. 

Una crisi epocale, secondo alcuni, e io sono tra questi, ancora più grave di quella del 1929 e dei quattordici anni di depressione che hanno fatto seguito al crollo dei listini azionari a stelle e strisce, cuna crisi che ha vissuto tre fasi nettamente distinte tra di loro, la prima tra il 2007 e il 2010, la seconda tra il 2011 e la prima metà del 2015, la terza, almeno per il momento, ha avuto origine  dalla seconda metà del 2015 ed è tuttora in corso, basandosi sulla bolla creditizia, su quella dei derivati e dei titoli più o meno tossici (voce che ricomprende anche le bolle speculative su materie prime più o meno energetiche, metalli preziosi e prodotti dell'agroalimentare), mentre in certe pari del globo persiste una bolla immobiliare, con l'aggravante del colosso dai piedi d'argilla cinese che queste bolle le presenta tutte, ma proprio tutte.

Per i lettori che non hanno la pazienza di aspettare di scoprire il/i colpevole/i al termine di un numero di domeniche, che anche io non so prevedere nel loro numero, rimando a due testi da me redatti, il primo dopo la grave crisi valutaria del settembre 1992, conclusasi con la cacciata della sterlina britannica e della lira italiana dal Sistema Monetario Europeo (dopo perdite "stupide" e in parte dettate dall'orgoglio nazionale per centinaia di miliardi, espresse in valori attuali di euro da parte della Bank of England e della Banca d'Italia e lo speculare arricchimento di George Soros e di quanti si misero sulla sua scia) e intitolato: "Accordi di cambio e speculazione: spunti per un nuovo approccio" in Rivista Bancaria-Minerva Bancaria n° 5 settembre-ottobre 1993, mentre il secondo è disponibile sia in video (se è ancora presente nell'archivio di flipnews.org) e nel volume "Finanziarizzazione dell'economia e crisi dei mercati: quali ricadute sociali", edito nel 2008 dalla UIL e contenente le relazioni all'omonimo Convegno svoltosi il 19 marzo del 2008 al Residence Ripetta di Roma ad opera dei professori Luigi Spaventa, Paolo Leon ed Elsa Fornero e la mia che, non essendo professore, vengo qualificato come economista, oltre alla introduzione e le conclusioni del segretario confederale che aveva organizzato il tutto, Antonio Foccillo.

Dalle visite che ho registrato ieri, direi che l'iniziativa sta incontrando il favore dei lettori, consapevoli, forse più di me, che, oltre all'aspetto cronachistico del Diario della crisi finanziaria, è assolutamente necessario avere un quadro di riferimento teorico che ci spieghi come mai è potuto accadere tutto questo!

venerdì 21 ottobre 2016

Il governo aiuta con 600 milioni di euro le banche italiane in cerca di quella che si comprerà MPS!


Nei giorni scorsi, avevo segnalato che Banca Intesa-San Paolo sta studiando il dossier dell'aumento di capitale da cinque miliardi di euro del Monte dei Paschi di Siena al fine di costituire un possibile consorzio di garanzia dell'aumento stesso, aumento a sua volta ancora in alto mare sia per l'improvviso cambio al vertice tra Fabrizio Viola e Marco Morelli che per la quasi assoluta latitanza di possibili sottoscrittori, un cambio al vertice avvenuto mentre si era in piena corsa per l'aumento di capitale e per la cessione di sofferenze lorde per oltre 27 miliardi, una circostanza che avrebbe indotto chiunque a più miti consigli ma non il Governo italiano che si è fattivamente, almeno questo riferiscono le cronache dei giornali, adoperato per l'uscita di Viola e che aveva ricevuto consigli al di qua e al di là dell'Oceano Atlantico per la pronta individuazione del successore nell'amministratore delegato di BofA Merryl Lynch Italia, Morelli appunto, un uomo con un passato in J.P. Morgan, che, con Mediobanca, è advisor dell'aumento di capitale di MPS, ma che è stato anche vicedirettore generale della banca senese proprio negli anni nei quali sono maturate le scelte del duo Mussari-Vigni che l'hanno portata letteralmente sull'orlo del baratro.

Un avvicendamento che è stato visto con sconcerto e con sospetto negli ambienti che contano in Italia e all'estero, anche perché, come dicevo, di risultati nella ricerca dei sottoscrittori dell'aumento di capitale della banca senese gli uomini di Jamie Dixon o quelli di Alberto Nagel di Mediobanca non ne hanno portati né pochi né molti, in realtà, tranne i fantomatici fondi governativi del Qatarclienti della Cassa Depositi e Prestiti, almeno allo stato nessuno, e il consiglio di amministrazione di MPS ha dovuto spostare più in là nel tempo le operazioni sulle quali stava lavorando direttamente Viola, così come la presentazione di quel piano industriale che Morelli renderà noto lunedì prossimo ai sindacati di settore, ma che, stando alle prime indiscrezioni, sarebbe poco più della classica minestra riscaldata.

Sempre nelle ultime puntate del Diario della crisi finanziaria, segnalavo che, dopo la morte di Enrico Cuccia, il ruolo di Mediobanca come crocevia pressoché unico del capitalismo delle famiglie, e del capitalismo italiano tout court, è oramai in netto declino e che il posto della finanza laica viene sempre più insidiato da un triangolo che vede ad un vertice il presidente onorario di Intesa-San Paolo, Giovanni Bazoli, all'altro il presidente della Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti, mentre l'ultimo vertice rimasto è occupato con sempre maggiore autorevolezza da tal Costamagna, un ex Goldman Sachs di cui si dice che sia molto, ma molto ambizioso ed è con ogni probabilità per questo che il ministro dell'Economia, Piercarlo Padoan, ha probabilmente deciso che doveva essere una grande banca italiana ad avvantaggiarsi degli aiuti pubblici diretti o indiretti che sarebbero piovuti sulla banca di Rocca Salimbeni.

Ecco allora spuntare nella Legge di Bilancio uno stanziamento governativo pluriennale di 500 milioni di euro in più anni ( sostanzialmente i prossimi tre), con code nel 2020 2 nel 2021) in favore del Fondo di Solidarietà del settore del credito, quello che ha accompagnato in sedici anni 50 mila bancari di ogni ordine e grado alla maturazione della pensione, a totale carico delle banche operanti in Italia, e che da qualche mese li può accompagnare non più per cinque ma anche per sette anni, sulla scia del famoso accordo Alitalia, e, poiché il settore ha pagato gli ammortizzatori sociali per 200 milioni di euro all'anno senza poterne usufruire, i finanziamenti in parola non potrebbero in alcun modo essere scambiati per aiuti di Stato.

Queste sono notizie ufficiali riprese in un servizio curato per Reuters da Francesca Piscioneri che ci informa anche della spalmatura di questi fondi su un periodo che non è più il triennio di cui si vociferava, ma si estende, come ho appena detto, addirittura fino al 2021, anche se il grosso dei fondi riguarda il 2017-2018-2019, illustrando altresì il meccanismo che vede a carico dello dello Stato 900 euro al mese per ogni dipendente in esodo, mentre i due terzi circa restano a carico dell'azienda di credito che li ha, su base volontaria od obbligatoria è un dettaglio marginale per l'Esecutivo e che comunque si vedrà in seguito, un meccanismo che vedrà decine di migliaia di dipendenti bancari trasferiti per un periodo che va sino a sette anni al Fondo di Solidarietà, non mi è chiaro, non avendo letto il testo governativo, chi si farà carico della contribuzione.

In realtà, secondo i miei calcoli i milioni di euro stanziati sono 600 e, per la precisione, 100 per l'anno che viene, 200 l'uno per il 2018 e il 2019, 100 per il 2020 e briciole non meglio quantificate per il 2021 e che sarebbero il complemento a 100 di quelli stanziati per il 2017 e pareggerebbero appieno i 600 milioni nel triennio pagati a vuoto dalle banche italiane per gli ammortizzatori sociali di cui da sempre non usufruiscono.

Se dovesse essere confermata la notizia di cui parlavo all'inizio e che vedrebbe Intesa-San Paolo costituire il consorzio di garanzia per l'aumento di capitale di MPS, avremmo uno scenario simile a quello che si è aperto per il Fondo Atlante che si è ritrovato sul groppone la Banca Popolare di Vicenza prima e Veneto Banca subito dopo ed è qui che le due operazioni, il finanziamento statale del Fondo di Solidarietà e quella relativa all'aumento di capitale della banca senese si intersecano, senza considerare l'accollo delle sofferenze di MPS al già citato Fondo Atlante, uno scenario che vede Intesa diventare padrone di MPS e che, in questo ipotetico casi, sarebbe pronta a dare il via ad una ristrutturazione complessiva (quindi sia in Intesa che in Monte dei Paschi e relative economie di scala) che vedrebbe in uscita almeno 15-20 mila dipendenti che, in tutto o in parte, verrebbero accolti proprio dal Fondo di Solidarietà, uno scenario che potrebbe vedere protagonisti anche UBI o Unicredit, ma chissà perché non riesco a togliermi dalla testa che, alla fine, la spunterà il duo Bazoli-Guzzetti!

Vorrei essere stato una mosca per vedere la faccia che hanno fatto gli emissari di Jean Laurent Bonafé, Chief Executive Officer di BNP Paribas, quando questa estate hanno capito che la freddezza con cui erano state accolte le avance del colosso creditizio francese già presente in Italia in modo massiccio e relative, appunto, al Monte dei Paschi di Siena, era dovuta in realtà al fatto che il Governo italiano aveva già un soluzione in tasca, o un'idea in testa, per il salvataggio della molto malmessa banca senese.

Non dò mai molta importanza ai movimenti a breve dei titoli in borsa, ma una crescita di poco meno del 30 per cento dell'azione di MPS in sole tre sedute di borsa può essere solo giustificata dalla percezione sempre più diffusa tra gli operatori del fatto che oramai una soluzione per la banca di Rocca Salimbeni è davvero a portata di mano!

* * *

Mi scuso con i lettori perché una bozza non corretta del presente testo è stata pubblicata in automatico dal mio provider all'ora programmata senza che io avessi la possibilità di apportare le modifiche per una corretta interpretazione della puntata e per evitare equivoci che sarebbero inevitabilmente sorti.

giovedì 20 ottobre 2016

Nel 2015 anche i ricchi hanno pianto, ma cosa accadrà nel 2016?


Negli anni che vanno dal 2007 al 2010, quelli che, per intenderci, definisco gli anni orribili della prima fase della Tempesta Perfetta, la falcidia dei grandi patrimoni miliardari espressi in dollari, euro, sterline inglesi e franchi svizzeri (per quelli espressi in valute deboli rispetto alle quattro principali appena indicati, bisogna aggiungere alcuni zeri per poter ambire ad entrare nell'alquanto esclusivo club) fu davvero tremenda, tanto era massiccia la svalutazione dei titoli azionari ed obbligazionari, dei patrimoni immobiliari, delle partecipazioni industriali e via discorrendo, un fenomeno che non aveva precedenti nella storia e che non fu affatto mitigato dalla diversificazione degli investimenti fatta sia in proprio, sia attraverso le gestioni patrimoniali delle banche globali di ogni ordine, grado e latitudine, le uniche cui i veri e alquanto diffidenti paperoni del pianeta affidano la gestione di larga parte del loro patrimonio.

Vennero poi gli anni del recupero, a partire dal 2011 sino al 2014, quelli della seconda ondata della Tempesta Perfetta, nei quali si poté assistere ad un certo recupero dei valori mobiliari, dell'immobiliare (che pure non ha ancora recuperato i valori e i volumi degli anni immediatamente precedenti la crisi finanziaria) e del valore delle partecipazioni industriali, ma furono, al contempo gli anni della crisi del debito sovrano, una crisi strettamente connessa al fatto che governi e banche centrali si erano viste, negli anni precedenti a profondere svariate migliaia di miliardi espresse nelle quattro principali valute per evitare il molto concreto rischio di default delle maggiori banche globali, un evento che avrebbe determinato un rischio sistemico che non aveva precedenti nei 62 anni seguiti alla fine del secondo dopoguerra mondiale, ma si trattò, comunque di un recupero del valore dei grandi patrimoni solo parziale e che non riguardò quanti avevano investito nelle due maggiori case automobilistiche statunitensi e nelle tante banche e finanziarie finite a gambe all'aria travolte dagli alti marosi di una Tempesta Perfetta che sembrava non dovesse avere fine.

Il vero problema di questi primi otto anni e mezzo della Tempesta Perfetta era dato dal fatto che erano pochissimi gli straricchi che avevano un'esperienza personale della Crisi dell'ottobre del 1929 e degli anni della Grande Depressione (durata oltre quattordici anni) e, quindi, vaccinati rispetto agli errori che hanno caratterizzato i loro eredi e discendenti nei ventidue anni successivi alla deregolamentazione e alla globalizzazione spinta dei mercati finanziari, nonché delle merci e dei servizi, una perdita di memoria e una impreparazione che sono costati in questo relativamente breve lasso di tempo la distruzione di ricchezza per migliaia di miliardi di euro, valuta che assumo non casualmente a pietra miliare delle altre tre principali valute e che, insieme ad esse, rappresenta oltre il 90 per cento della valute di riserva delle banche centrali, mentre il petrolio e le altre materie prime energetiche meriterebbero un discorso a parte che non è qui il caso di fare, ma che è stato trattato diffusamente in diverse puntate dell'epoca del Diario della crisi finanziaria, così come quello relativo all'oro che nella Tempesta Perfetta ha dimostrato ancora una volta di essere quel barbarian relict di cui soleva parlare il mai troppo compianto John Maynard Keynes.

Ma ci furono almeno due lodevoli eccezioni alla regola di ignavia, impreparazione, mancanza di capacità di apprendere dalle amare lezioni della Storia, sia essa generale o economica, che caratterizza gli uomini e le donne più ricche del pianeta ed è rappresentato da Warren Buffett, meglio noto come il Leone di Omaha,  e George Soros, lo speculatore filantropo che sarà ricordato per il suo fattivo contributo al crollo del regime sovietico, quello che Ronald Reagan definiva l'Impero del Male; ebbene, questi due capitalisti di razza non si arresero al fato avverso e, mentre tutti scappavano a gambe levate, investirono nelle azioni di banche e imprese che sembravano inesorabilmente destinate al fallimento, default che nella stragrande maggioranza dei casi non si verificò e i due ne uscirono più ricchi, così come non è un caso che nel 2007, a blog appena avviato, riconoscevo in questi due miliardari le mie stelle polari per tenere il libro di bordo della molto malmessa flotta delle entità finanziarie, mentre il debito teorico lo ho dichiarato senza riserve nei confronti di Keynes, l'uomo che dalla sua analisi del '29 e dintorni trasse una teoria economica realmente rivoluzionaria per quei tempi!

Venendo alla cronaca della terza fase della Tempesta Perfetta, segnalo che, in un anno relativamente tranquillo come è stato, almeno in apparenza, il 2015, i grandi ricchi hanno perso una bazzecola come 300 miliardi di dollari, che in euro o in sterline sono un po' meno, ma sono sempre una bella cifra e staremo vedere cosa riserva loro quello che amo definire come l'anno di disgrazia 2016, l'anno in cui abbiamo assistito a cali dei corsi azionari delle banche europee che vanno da un quarto alla metà, con punte di molto superiori per le due banche cui sto dedicando le maggiori attenzioni: Deutsche Bank e Monte dei Paschi di Siena.

* * *

Ringrazio i lettori per avere riportato ieri le visite quotidiane del Diario della crisi finanziaria, forse anche per la pubblicazione di due puntate nello stesso giorno, quasi ai livelli dei momenti più caldi della prima fase della Tempesta, con qualcosa più di 600 visite, quasi equamente distribuite tra Stati Uniti d'America, anche ieri prevalenti, e Italia e altri paesi, mentre domani inizia, divisa in un numero di non ancora prefissato di puntate, un'analisi più puntuale della crisi finanziaria, intitolata "L'amara lezione della Tempesta Perfetta".

mercoledì 19 ottobre 2016

Breaking News sul Monte dei Paschi


Un sito alquanto scandalistico e diretto da un ex bancario molto addentro ai salotti romani che contano, rispettivamente Dagospia e Roberto D'Agostino, e che si è conquistato negli anni una discreta reputazione sulle notizie che riguardano le banche italiane, ha lanciato ieri una notizia che, se confermata,  sarebbe una vera e propria bomba per l'inquieto settore creditizio italiano e per la molto malmessa Banca Monte dei Paschi di Siena alle prese con un aumento di capitale da cinque miliardi di euro e con le perdite derivanti dalla cessione in toto delle sofferenze prodotte in proprio o ereditate dalle tante banche acquisite, Banca Antonveneta in primo luogo che pesa per un terzo circa delle sofferenze lorde complessive che sono pari a qualcosina di più di 27 miliardi di euro, mentre quelle al netto degli accantonamenti superano di poco i nove miliardi.

Ma quale è questa notizia, sarebbe meglio dire indiscrezione o rumor come dicono gli anglosassoni? Semplicemente quella che dice che il mio ex collega e da qualche tempo amministratore delegato di Banca Intesa-San Paolo. al secolo Carlo Messina, con il placet, o su input, della potentissima coppia formata dal presidente onorario della banca, Giovanni Bazoli, e dal potentissimo presidente della Fondazione Cariplo e  altrettanto potentissimo nella Cassa Depositi e Prestiti, Giuseppe Guzzetti, sarebbe in procinto di lanciare un Consorzio di Garanzia per l'aumento di capitale per ora fissato in cinque miliardi di euro del Monte dei Paschi di Siena, un consorzio cui il gruppo creditizio milanese parteciperebbe con una quota non meglio definita e con o senza altri partecipanti di cui ovviamente e nel caso non è dato di conoscere né l'identità né l'entità dell'apporto, mentre è di ieri la notizia di un ulteriore contributo di Intesa per 185 milioni di euro al Fondo Atlante, aumento che porterebbe ad un miliardo la partecipazione del gruppo nato attorno a quella che un tempo era la Ca de Sass a quel Fondo che ormai tutti considerano come la zattera di salvataggio delle banche italiane e che, al momento ne ha già rilevate integralmente due (la Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, a fronte del totale interesse del mercato ai relativi due aumenti di capitale, entrambi, peraltro, imposti a forza dalla Vigilanza BCE).

Credo proprio che siano state le indiscrezioni su questo possibile intervento a gamba tesa di Intesa nel dossier Monte dei Paschi a giustificare ieri l balzo di quasi il 13 per cento dell'azione della banca senese, molto più delle prime notizie circolate sul piano industriale discusso ieri per oltre otto ore dal Consiglio di Amministrazione della sempre più traballante banca di Rocca Salimbeni, un piano che appare, stando al poco che se ne sa, una minestra un po' riscaldata e che prevede, tra l'altro,  esuberi per 3 mila dipendenti, la metà dei quali già previsti nel precedente piano dell'ex amministratore delegato Fabrizio Viola, mentre, ove l'indiscrezione di Roberto d'Agostino dovesse trovare conferma,, sarà molto interessante vedere la reazione di J.P. Morgan e Mediobanca, allo stato ancora capifila dell'operazione di aumento di capitale di MPS!

Nel frattempo, il CdA ha anche discusso su cosa fare del piano di salvataggio del Monte dei Paschi riscritto dall'ex AD di Intesa, Corrado Passera, rispetto alla precedente missiva inviata a luglio e composta da quattro paginette quattro e ha reso noto di essere disponibile alla due diligence ivi richiesta dall'ex Top Manager della banca milanese (e, quindi, anche ex capo di Carlo Messina ma, almeno così si diceva a suo tempo, sotto lo schiaffo del molto tormentato Giovanni Bazoli che in Intesa era qualcosa di più di un semplice Presidente), un piano la cui esistenza è da tre mesi nota a tutti e sul quale ieri ha battuto finalmente un colpo la CONSOB che ne ha sentito l'illustre autore per capire qualcosa di più sia sulla struttura del piano da lui presentato per ben due volte e a due AD diversi tra loro come il giorno e la notte, ma anche e forse soprattutto per sapere qualcosa di più  sull'identità e le reali intenzioni dei fondi (sia i due menzionati che gli eventuali altri) che l'ex ministro dello sviluppo economico sta rappresentando, un piano del quale al momento si sa solo che non prevederebbe più la conversione in azioni dei bond posseduti dagli investitori istituzionali e, quindi, tantomeno, o almeno questo lo aggiungo io,  di quelli in possesso delle persone fisiche e che oscillano tra uno e due miliardi di euro.

Questo improvviso attivismo di banche italiane e straniere, grandi fondi investimento e un banchiere ed ex ministro della Repubblica intorno a quel che resta del Monte dei Paschi di Siena mi fa dire che nella banca senese vi, al netto di tutte le sofferenze e problemi di ogni genere, una riserva di valore che sta interessando più di una banca globale, oltre a BNP Paribas che mosse esplorative al massimo livello sia a Roma che a Francoforte le ha già fatte questa estate, ottenendo apparentemente risposte negative, anche se oggi si scopre che il forte taglio di personale richiesto è diventato molto più fattibile dopo l'accordo Governo-ABI sul finanziamento del Fondo esuberi al fine di facilitare 50 mila esodi nel settore e che Francoforte potrebbe essere, anche luce dei riflessi economici di questo accordo, molto meno negativa sulla questione esiziale del possibile aumento di capitale in capo a BNP, una riserva di valore che è quantificabile solo da chi ha un accesso a tutte le informazioni, che è appunto quello che chiede Passera. Insomma, credo proprio che ne vedremo delle belle!

Questa, ovviamente, non è la puntata che avevo programmato per oggi e, quindi sarei lieto che trovaste anche il tempo per leggere, di sotto "Poteri occulti in campo per l'assalto finale a Matteo Renzi", una puntata che spiega anche perché un Commissario europeo che da Washington solo pochi giorno orsono affermava che non ci sarebbero stati problemi pure con un deficit/pil che allora era fissato al 2,4 per cento starebbe per inviare una missiva ultimativa nella quale si chiede all'Italia di adeguarsi in soli sette giorni alle indicazioni da lui stesso fornite per una riscrittura del disegno di legge; tutto questo quando manca un giorno allo svolgimento di un importante Consiglio europeo nel quale Renzi ha annunciato urbi et orbi che non intende fare la semplice comparso, ma battere il pugno su varie questioni, distribuzione più equa dei migranti  e quale corno del binomio austerity/sviluppo in primis!

Poteri occulti in campo per l'attacco finale a Matteo Renzi


Questa puntata del Diario della crisi finanziaria non sarà facilmente comprensibile per il lettore che non abbia avuto l'occasione o la pazienza di leggere "Le conseguenze economiche di Silvio Berlusconi", un testo che raccoglie le dieci puntate di questo blog dedicate a comprendere le radici, sia quelle palesi che quelle un po' più oscure, che hanno consentito ad un Tycoon sull'orlo della bancarotta e che aveva operato sin dalle origini della sua avventura imprenditoriale basandosi sul principio che quello che la Legge non vieta espressamente è consentito di portare in modo alquanto fulmineo l'assalto al cielo della politica, di vincere a man bassa le elezioni politiche del 1994 e giungere a Palazzo Chigi per poi essere disarcionato pochi mesi ad opera di uno dei suoi più importanti alleati e, dopo un Governo "tecnico" durato ben due anni.

In poco più di un decennio, Berlusconi due volte perse (e due volte vinse contro altri e più deboli leader del Centrosinistra) contro il suo più acerrimo nemico, Romano Prodi, espressione, oltre che dei partiti che lo sostenevano, anche di quel Carlo De Benedetti  da subito sponsor dell'Ulivo e poi tessera numero uno del Partito Democratico, due Governi quelli del professore emiliano che hanno visto l'entrata sin da subito nell'euro nel maggio del 1998, ma la gestione dell'avvio concreto del quale fu gestita in modo tragico dall'accoppiata Berlusconi-Tremonti ; mi fermo qui per non svelare al lettore il finale di quella che, insieme alle puntate sulle Investment Banks statunitensi travolte dalla prima ondata della Tempesta Perfetta (o sulle trecento banche USA fallite), è stata tra le più visitate di questo blog con diverse migliaia di visualizzazioni dall'Italia e dall'estero.

Le analisi contenute nel più lungo articolo da me postato e che riproporrò a breve a beneficio dei lettori più recenti, tuttavia, risalgono ai mesi a cavallo tra il 2008 e il 2009 e, nel periodo successivo, è accaduto che il Governo Berlusconi sia stato disarcionato dall'Europa con modalità che spingono a dire anche a me che l'ho avversato in tutti i modi possibili e immaginabili che si è trattato di una vera manovra orchestrata dall'allora inquilino del Quirinale e i poteri forti, che più forti non si può, operanti nelle principali capitali europee e con sponde altrettanto forti a Bruxelles, determinando la necessità del secondo governo tecnico in meno di un ventennio, quello guidato dal Professore e fresco Senatore a vita Mario Monti.

Una sconfitta questa, anche e soprattutto per non essere maturata in un agone elettorale dove avrebbe, a mio modesto avviso, comunque perso e male, che è bruciata molto ad un Silvio Berlusconi che oramai tra condanne, esposizione al pubblico ludibrio, perdita del seggio al Senato e astinenza forzata dal Potere è ridotto alla triste parodia di se stesso, ma una soluzione che non è piaciuta neanche a Carlo De Benedetti che ha visto scemare, almeno temporaneamente, le chance dello schieramento da lui appoggiato, ad opera di forze antagoniste a lui come all'ex cavaliere di Arcore, spingendolo non del tutto casualmente a chiedere e facilmente ottenere quella cittadinanza svizzera che lo mette (?) al riparo dagli esiti giudiziari, per ora molto funesti, del suo non sempre adamantino passato di imprenditore, come dimostrato dal suo coinvolgimento nell'inchiesta Mani Pulite, in cui verrà salvato da un Antonio di Pietro fulminato dal suo atteggiamento collaborativo, e, sempre per Olivetti, dalle vicende che lo hanno portato alla recente e pesantissima condanna (di qualche anno più elevata di quella subita da Berlusconi) in tandem con il fratello Franco, che, a differenza di lui, ha mantenuto orgogliosamente l'originario cognome Debenedetti.

A questo punto, le cose si complicano e il rinvio alla puntata citata all'inizio diviene quasi una conditio sine qua non per la piena comprensione del presente testo unitamente ad un libercolo del giornalista Marco Dolcetta dall'inquietante titolo "Potere occulto", un testo da prendere con molle lunghe almeno due metri in quanto scritto da un massone dichiaratamente legato a Licio Gelli, padre padrone della Loggia Propaganda 2 (mi sono sempre chiesto quale è stata la P1, mentre i magistrati sono molto attivi nelle loro indagini sulla cosiddetta P3 del faccendiere Flavio Carboni), ma anche un libro che consente di comprendere i contorni di almeno uno dei tre schieramenti che si contendono il potere in Italia e che è in questo caso è legato al remoto ruolo della Mafia nello sbarco degli alleati in Sicilia e nella successiva costituzione della Loggia Colosseum che si schiera, senza se e senza ma, con gli Stati Uniti d'America in funzione fortemente anticomunista e a prescindere dalla diverse amministrazioni che si succedono a Washington, una loggia molto potente che, in politica, appoggia la destra e nella Democrazia Cristiana sostenne, più o meno ricambiata, il sette volte Presidente del Consiglio e un numero incalcolabile di volte ministro e infine Senatore a vita, con suo scorno e nonostante le centinaia di migliaia di preferenze ricevute (700 mila nell'ultima tornata elettorale in cui fu possibile esprimerle e che aveva il famoso studio nello stesso edificio di San Lorenzo in Lucina nel quale aveva sede il gruppo giornalistico di Milano Finanza cui collaboravo agli inizi degli anni '90), sto parlando del Divo Giulio, al secolo Giulio Andreotti.

Si tratta evidentemente di uno schieramento molto potente e confluito quasi in blocco nella Loggia segreta di Licio Gelli, ma anche particolarmente inviso alla totalità delle cancellerie europee che ne conoscevano l'esistenza molto prima della scoperta delle liste di parte, solo una parte, dei suoi aderenti a Castiglion Fibocchi per merito di un molto ardimentoso ufficiale della Guardia di Finanza  del quale ignoro la successiva sorte.

Un raggruppamento di potere che crea qualche evidente imbarazzo anche negli Stati Uniti che nel tempo ne prendono drasticamente le distanze, preferendo l'alternativa laica e azionista (sia nel senso dello storico Partito d'Azione i cui aderenti sono presenti pressoché in blocco in questo schieramento, sia in quello più prosaico che vede gli esponenti di questo raggruppamento fortissimi nella vita finanziaria e industriale del nostro Paese) e qui la figura centrale era, ovviamente, quella del Presidente praticamente a vita di Mediobanca, Enrico Cuccia, un uomo che, genero del potentissimo Alberto Beneduce, uomo forte dell'economia fascista e fondatore di quell'IRI di cui sarà presidente, decenni dopo, l'economista democristiano Romano Prodi, di cui Enrico aveva sposato la figlia Idea Rivoluzionaria, un uomo schivo ma che non nascondeva il suo potere quasi assoluto di interdizione e di iniziativa nell'ambito del salotto buono dell'economia italiana, un personaggio di potere che venne sconfitto, clamorosamente ma, purtroppo per l'imprenditore ravvennate molto, ma molto, temporaneamente, da Raul Gardini che gli sfilò dalle mani la "sua" Montedison, una vittoria di Pirro nel corso di una guerra che Raul pagherà con la vita!

A questo schieramento fa inizialmente capo anche Carlo De Benedetti, in unione con le ricche famiglie ebraiche che vedevano nell'altra e vera creatura di Cuccia, le  Assicurazioni Generali, la cassaforte in cui mettere al sicuro i loro "risparmi", ma Carlo è ambizioso, molto ambizioso, e  si lancia nella battaglia per il controllo della multinazionale Suez, una disfida più nota come battaglia del Belgio, una battaglia molto aspra e nella quale è sicuro di avere il sostegno di Cuccia e compagni che, tuttavia, lo lasciano solo nel torrido tendone di Bruxelles in cui va e perde la  conta dei voti per il controllo di una società che è troppo importante per gli ambienti che contano in Europa per lasciarla a un italiano neanche appoggiato sino in fondo dai suoi "amici".

Quella amara esperienza lascerà un segno indelebile ed è a partire proprio da questa che Carlo decide di dare vita ad un suo schieramento, appoggiandosi ad una sinistra democristiana che con Ciriaco De Mita è in cerca di identità e alla sinistra tout court, accettando e imponendo al suo punto di riferimento in politica Romano Prodi la presenza come alleato anche di Fausto Bertinotti, una scelta che, insieme ad altri fattori, sarà esiziale per la permanenza di Prodi a Palazzo Chigi, finita ben due volte in anticipo, ma è la prima quella che getterà le basi per il voto dei 101 grandi elettori del PD che gli sbarra, e anche in modo ignominioso, la strada per il Quirinale e getta le basi per il secondo settennato di Giorgio Napolitano, che accetta ma pretende in cambio dai partiti che si facciano finalmente le riforme e in particolare la riforma costituzionale, che è poi quella sulla quale saremo chiamati ad esprimerci il 4 dicembre prossimo venturo e alla quale è legato a doppio filo il destino politico di Matteo Renzi e del suo Governo.

E già, perché l'ascesa politica di Matteo Renzi alla segreteria del Partito Democratico, carica lasciata con amarezza da un Pierluigi Bersani che aveva "non vinto" quelle elezioni politiche generali del febbraio 2013 che tutti i pronostici e i sondaggi (quelli stessi che non furono in grado di prevedere l'incredibile affermazione del Movimento 5 Stelle che per poco non strappò al PD pure il premio di maggioranza e che furono altrettanto fallaci in occasione delle elezioni europee del maggio 2014) e subito dopo, con la sbrigativa liquidazione del suo predecessore Enrico Letta, da allora esule volontario a Parigi, a Palazzo Chigi non è una storia che non ha padrini e anche molto forti e li ha avuti sia in Italia che all'estero, appoggi che hanno molto a che fare con il fatto che con le varie Leopolde che si sono susseguite nel tempo il nostro prometteva davvero di essere l'unico in grado di innovare la stagnante politica, per non parlare dell'economia e della finanza del nostro molto malridotto Paese.

L'espugnazione di Palazzo Chigi di Matteo Renzi, quindi, ha avuto, almeno inizialmente, il sostegno dello schieramento oramai orfano di Cuccia e di quello che fa capo a De Benedetti, ma Renzi, al pari di Prodi e, in tempi più lontani e in ambito molto diverso, al pari di Gardini, ha pensato di poter fare da solo e, nel momento più delicato della sua avventura politica, si è visto pubblicamente e clamorosamente togliere l'appoggio dell'Ingegnere e del potente gruppo editoriale saldamente guidato da lui medesimo e da Eugenio Scalfari, con un repentino cambio di posizioni che vi invito a controllare in qualsivoglia emeroteca, una giravolta che non è costata molto a  Carlo, visto il suo passato e il suo presente di imprenditore duro e spietato (come, del resto, la maggior parte dei suoi colleghi), mentre ha messo in ambasce la sua anima gentile che è rappresentata dall'amletico fondatore de La Repubblica che non sa proprio come giustificare editoriali  redatti a così breve distanza di tempo e così talmente diversi tra di loro e che esprimono un voto diverso, prima favorevole poi contrario, a quel banco di prova che è indubitabilmente il referendum costituzionale, prima approvata seppur con qualche distinguo che ad un intellettuale di razza non si negano mai e poi un rifiuto categorico e pretestuoso come lo è quella sinistra del PD guidata, si fa per dire, da Bersani e Speranza, mentre il suo antagonista alle primarie, Gianni Cuperlo, che nel fondo è un vero socialista e un gentiluomo di altri tempi, sulla proposta di Renzi di modificare l'Italicum è andato a vedere, accettando di far parte della commissione appena insediata dal segretario del suo partito.

Fino a qui ho ragionato sugli effetti derivanti dal contrasto e dalle temporanee alleanze tra i tre gruppi occulti di potere che si contendono la possibilità di influire pesantemente sulle sorti politiche ed economiche del nostro Paese in questo anno di disgrazia 2016, ma il problema vero, si potrebbe dire la causa, di tutto questo improvviso disamoramento nei confronti di Renzi sta nella diversa strategia che il nostro Premier e l'asso franco-tedesco vogliono seguire rispetto a quello shock rappresentato dalla Brexit, un avvenimento ancora non compreso in tutte le sue implicazioni presenti e future e che Renzi vuole affrontare con una profonda riforma di quel che resta dell'Unione europea, mentre gli altri due e i tanti Stati membri che riconoscono la loro leadership  sono per un approccio che prevede solo piccoli passi e la non messa in discussione né dei parametri stabiliti nel secolo scorso a Maastricht, il che, dopo le armi di distruzione di massa della Troika in Grecia e in altri Paesi UE richiedenti aiuto, è francamente inaccettabile  e, dopo una riunione dei Paesi dell'area mediterranea ben poco gradita da Berlino e alla quale la Francia era presente forse solo per sapere di che si parlava, l'Europa che conta ha deciso il pollice verso nei confronti di Matteo.

Il problema è che nessuno si è preso la briga di avvertire di questo il povero Commissario europeo Moscovici che, in margine ai lavori di FMI e Banca Mondiale aveva detto che lo sforamento del deficit/PIL italiano per il 2017 al 2,4 per  cento non costituiva un problema a causa di migranti, terremoto e volontà di non favorire il populismo ben radicata nella UE, per poi, dopo aver ricevuto il documento ufficiale con il deficit ridotto al 2,3 per cento è improvvisamente e un po' improvvidamente ripartito dall'impegno italiano a non superare l'1,8 per cento, e questo mentre Spagna, la sua Francia e il Portogallo sforano da tempo la soglia del 3 per cento e lo fanno davvero alla grande; e allora tutti hanno capito che non si parlava più di numeri ma di qualcosa di molto più importante e che lo scenario di un nuovo 2011 non era più così remoto come si pensava in settembre nello scenario idilliaco dell'isola di Ventotene!  

E qui c'è la vera sorpresa che è rappresentata dall'atteggiamento mieloso verso il Governo e le ragioni del sì dell'impero televisivo ancora saldamente di proprietà dell'ottuagenario Silvio, un qualcosa che, anche al netto dei problemi di salute del medesimo, non è spiegabile con un una botta di matto di "Fidel" Confalonieri,  suo eterno amico e suo sodale sin dai tempi del lavoro sulle navi da crociera, una persona che, a differenza di tanti, sa bene quale è il suo posto, così come è difficile che sia una decisione presa in autonomia dai due figli di primo letto saldamente inseriti nel gruppo che certo non vogliono che si insceni una commedia come quella che ha visto il defunto Caprotti patron di Esselunga estromettere i suoi figli maggiori dalla gestione dell'azienda.

No, in tutto questo vi è qualcosa di più e solo le prossime settimane ci diranno, sempre con segnali criptici come è ovvio, se lo schieramento che faceva capo a Cuccia ed ora fa riferimento alla coppia emergente (si fa per dire vista l'età) Giovanni Bazoli e Giuseppe Guzzetti, la mente di Intesa-San Paolo il primo e il presidente della Fondazione Cariplo e persona molto influente nella Cassa Depositi e Prestiti il secondo,  con lo schieramento che fa capo a un Silvio Berlusconi che oramai sembra sempre di più voler vendere al meglio la sua "roba" e godersi quel che resta della vecchiaia e la sua non piccola famiglia e che potrebbe veder bene un saldamento dei due schieramenti, forse con taglio delle estreme.

Di tutti i personaggi citati, Silvio, grazie alle sue vicissitudini, è quello che ha più compreso sulla sua pelle le implicazioni della Legge mistica di causa ed effetto e potrebbe essere spinto a fare una buona azione non tanto in favore di Renzi che ha sempre dichiarato di vedere come quel possibile figlio a lui simile che non ha mai avuto, quanto di quell'Italia che ha dichiarato di amare sopra ogni cosa nel suo primo messaggio a reti unificate nel gennaio del 1994.

Una riprova del nuovo atteggiamento dei poteri occulti europei lo si avrà pochi giorni prima del 4 dicembre quando la Commissione europea dovrà dare la pagella alla Legge di Bilancio italiana e, se non vi sarà lo stesso rinvio che è stato concesso nei mesi scorsi a Francia e Portogallo in occasione delle rispettive elezioni, allora vorrà proprio dire che Francia, Germania e i loro alleati hanno "già votato". Anche se, ove fosse fondata l'indiscrezione giornalistica che vuole già pronta la lettera di richiamo della UE sulla appena presentata legge di Bilancio, una lettera che, se spedita, prevede che il Governo italiano modifichi entro sette giorni la manovra nel senso indicato dal Commissario competente, mi farebbe dire che lo scontro è già cominciato e, in questo deplorevole caso, sarei curioso di sapere se la missiva verrà spedita prima o dopo il Consiglio europeo il cui avvio è previsto per  domani!

martedì 18 ottobre 2016

Voci da dentro: Deutsche Bank e il complotto a stelle e strisce


Ha avuto molto coraggio l'inviato del quotidiano torinese, Gianluca Paolucci, lo stesso che, se non vado errato, ha raccolto con un escamotage lo sfogo del bravo Fabrizio Viola dopo le sue dimissioni "spintanee" dalle cariche di amministratore delegato e direttore generale del molto malmesso Monte dei Paschi di Siena (dimissioni, lo ripeterò fino alla nausea, fortemente volute dal Governo, da J.P. Morgan e da Mediobanca per le sue resistenze alle modifiche richieste al suo piano in materia di aumento di capitale e di cessione delle sofferenze al Fondo Atlante), ha avuto coraggio dicevo perché è riuscito a far parlare, ovviamente sotto garanzia di anonimato, persone interne e persone vicine a Deutsche Bank, un colosso creditizio globale che è talmente sull'orlo di una crisi di nervi da non escludere del tutto quella uscita dal ricco mercato statunitense che è sempre una freccia all'arco del Dipartimento di Giustizia e di quello del Tesoro in quel di Washington, soprattutto se non andrà a buon fine la perentoria richiesta della nomina, da parte della banca tedesca di una personalità indipendente e in grado di districarsi nei meandri delle due divisioni di Corporale and  Investment Banking e dei loro 55 mila miliardi di euro di derivati e titoli della finanza strutturata più o meno tossici.

Mi ha fatto un po' impressione vedere la foto del quartier generale di Deutsche a Francoforte, due altissime Torri Gemelle contorte da altre costruzioni gemelle significativamente più basse e la similitudine mi ha fatto venire alla mente un mio viaggio a New York nel corso del quale quelle le torri le vidi in costruzione ma già ospitavano gli uffici dell'ICE che ebbi modo di visitare, ma anche che quello stesso anno 2001, oltre che per il tremendo attacco terroristico alle Torri Gemelle, viene anche ricordato per lo scoppio di una delle tante bolle speculative, quella delle dot.com e del settore in genere legato ad internet che tanta parte aveva avuto nella crescita abnorme dell'indice Nasdaq passato in pochissimi anni da 2.500 ad oltre 5.000 punti, per poi cadere a precipizio tra il 2000 e il 2001, costringendo Alan Greenspan, allora Presidente della Federal Reserve e maestro spirituale del suo successore, Benjamin Bernanke, che lo imitò a tal punto da spingermi a chiamarlo Bernspan, a finanziare a piè di lista gli operatori di borsa e inondare letteralmente il mercato di liquidità per evitare un effetto sistemico che infatti non vi fu, anche se non poté evitare i fallimenti a catena di buona parte delle società quotate  all'indice tecnologico più importante del pianeta.

Non molti lo sanno, ma in quei non troppo lontani primi anni del XXI secolo, Deutsche  era una banca molto diversa dalla banca globale che è diventata ora, veniva considerata una banca tradizionale concentrata su depositi e impieghi, obbligazioni  non troppo complicate, poca finanza strutturata, un discreto numero di presenze all'estero, derivati in prevalenza di hedging (cioè di copertura dei rischi di tasso e di cambio legati agli assets della banca), un solido conto economico e una struttura patrimoniale ben rapportata al proprio totale dell'attivo, ma, con l'avvento di Josep Hackermann al vertice della banca di Francoforte di cui divenne contemporaneamente Chief Executive Officer e Presidente, tutto cambiò, come ben sanno gli interlocutori che Paolucci ha scovato nel quartier generale di Deutsche e quelli che conoscono bene la banca.

E', quindi, dal 2002-2003 che Deutsche in breve tempo si trasforma  da quieta e un po' soporifera banca tradizionale in un'immensa CIB, anzi, caso quasi unico al mondo, in due, e riesce a superare i colossi americani del calibro di Goldman Sachs e J. P. Morgan, banche che fanno quasi solo derivati e finanza strutturata (oltre che, ovviamente, gestioni patrimoniali, M&A, consulenza e quant'altro) ma per volumi che sono inferiori di qualche migliaio di miliardi di dollari per ciascuna rispetto a quelli che raggiunse in brevissimo tempo il neofita Ackermann che poi fu cacciato nel 2012, ma che nel decennio in cui rimase uomo solo al comando mise le cause che hanno reso, secondo l'FMI ma non solo, Deutsche un rischio sistemico per l'intero settore finanziario internazionale, nonché le premesse per una serie di cause lunga un chilometro e che già hanno rappresentato un salasso per le un tempo floride casse della banca.

Mentre siamo in attesa del risultato della trattativa con il Dipartimento di Giustizia USA per la multa che per ora è fissata a 14 miliardi di dollari, della sentenza del processo inglese sulle manipolazioni del mercato finanziario e di altre contestazioni che qui sarebbe troppo lungo riportare, inclusa quella che riguarda la violazione dell'embargo all'Iran, un tipo di violazione che è costata a BNP Paribas una multa miliardaria, scoppia ora un'altre grana per Deutsche ed è rappresentato dall'accusa di aver compiuto un vero e proprio riciclaggio di 10 miliardi di dollari di capitali russi di non chiara provenienza e transitati per la dipendenza russa della banca e istantaneamente trasferiti alla potentissima filiale di Londra, un evento per il quale è stata chiusa l'affiliata russa e licenziati in tronco i responsabili dell'operazione incriminata. La dura reazione è in tutto ascrivibile al nuovo CEO, John Cryan, che è anche revocato i bonus di cui godevano Ackermann e due precedenti co CEO.

In questo scenario, è davvero risibile che i ministri del Tesoro e della Giustizia statunitense, la Presidente della Fed e i responsabili delle varie agenzie federali che si occupano delle diverse vicende legate all'operato negli USA della banca di Francoforte stiano muovendosi di concerto per eliminare Deutsche dal ricco mercato finanziario statunitense, anche perché gli estremi per giungere ad una revoca dell'esercizio del credito ci sarebbero già tutti, ma sembra che, al momento, non ve ne sia l'intenzione, così come il fatto che la richiesta di pagare per la crisi dei subprime quanto hanno già dato le banche globali statunitensi non abbia già prodotto un atto transattivo potrebbe essere legato a comportamenti accertati più gravi e forse legati a quello che si potrebbe definire l'entusiasmo del neofita, come in effetti era Deutsche nel mercato finanziario globale negli anni che vanno dal 2002 al 2006, gli anni, cioè, che precedono lo scoppio della Tempesta Perfetta.

Sento ripetere da tempo, e ve ne è traccia anche nell'ottimo servizio di Paolucci, che, allenato dei titoli tossici, per i derivati di Deutsche non vi sarebbero problemi perché il risultato netto di queste svariate di decine di migliaia di miliardi di euro di capitale nozionale sarebbe attivo per 19 miliardi, un dato certamente confortante, ma che si scontra da un lato con il potenziamento esponenziale delle funzioni aziendali preposta alla valutazione dei rischi, una divisione più che un ufficio giunto ad un organico di ben 2.200 persone, in secondo luogo con la richiesta del Governo federale USA di nominare una personalità indipendente proprio per valutare questi rischi, e, in terzo luogo, con una constatazione che sarà semplicistica e che dice che se il risultato è positivo perché non iniziare a chiudere in modo selettivo le posizioni con il duplice effetto di ridurre quell'ammontare che tanto spaventa i Governi, le opinioni pubbliche e le altre banche!

lunedì 17 ottobre 2016

La banche italiane nella Tempesta Perfetta tra nozze e funerali


La terza ondata della Tempesta perfetta, iniziata nei mesi a cavallo dell'avvio di questo che sempre più si dimostra essere l'anno di disgrazia 2016 si incrocia, per le banche italiane sommerse da 360 miliardi di euro di Non Performing Loans,  con quella che io definisco la quarta fase del più che ventennale processo di ristrutturazione e semplificazione di un sistema bancario che la Legge Amato affrontò a muso duro nel 1992, creando le condizioni per una separazione tra la parte pubblica, relegata nelle cosiddette Fondazioni bancarie e le banche conferitarie cui fu posto l'obbligo della trasformazione in società per azioni, per un processo di aggregazioni sempre più incisivo e che vide centinaia di banche e casse di risparmio aggregarsi in quelli che non a caso sono diventati i cinque principali gruppi creditizi (Intesa-San Paolo, Unicredit, Monte dei Paschi, Unione di Banche Italiane e Banco Popolare), un processo che, nel corso di tre fasi, ha restituito alle altre banche facenti parte del sistema migliaia di sportelli, seguendo le indicazioni dell'Antitrust, e mandato a casa, quasi sempre su base volontaria e con un ottimo meccanismo di esodi, decine e decine di migliaia di dipendenti.

La quarta fase del processo di ristrutturazione del sistema bancario (c'è chi dice che è la quinta chi sostiene che si tratta della terza, ma si discute di banali questioni definitorie che lascio volentieri a chi vi si appassiona) sarà "brutta e spietata", in quanto quello che si poteva fare in punta di fioretto, seppur con tempi inenarrabilmente lunghi e con errori gestionali, in particolare nei primi tre gruppi creditizi, che sono costati decine di miliardi di euro nel ventennio passato, ora verrà affrontato, anche per il fiato sempre più caldo di Madame Nouy sul collo, con la sciabola se non con la scure, forti anche di due provvedimenti legislativi di estrema importanza, quali quello che riforma le banche popolari, ricordate? quelle di quel voto capitario che ha tenuto lontani i grandi investitori da questa tipologia di banche che vanno da piccole entità a banche ben collocate ai vertici della graduatoria nazionale, nonché quello che ridurrà a una. o come sembra in questi giorni, a due holding ben 350 banche di credito cooperativo, banche che, sempre nell'ultimo ventennio, hanno richiesto numerosi provvedimenti di commissariamento o di messa in liquidazione da parte della Vigilanza della Banca d'Italia che, lo ricorderò fino alla nausea, rimane competente per tutte le banche medio piccole.

Cosa significa che si interverrà con la sciabola?  Semplicemente che vi sarà una spinta alle fusioni, facilitata da quel vero e proprio tracollo dei corsi di borsa dei titoli bancari che rende estremamente appetibili e a prezzi di saldo anche banche che un tempo erano, come il Monte dei Paschi di Siena, difficilmente scalabili (si veda, invece, il tentativo estivo e un po' maldestro di BNP Paribas  di acquisirla con un OPA pre aumento di capitale, ma chiedendo un taglio abnorme dell'organico e la garanzia dalla BCE che non sarebbe stato richiesto un aumento post fusione per incorporazione in BNP della stessa banca senese), una revisione vera dei costi operativi, in particolare di quelli relativi al personale, un radicale riorientamento dei modelli vigenti di business, un'impulso senza precedenti all'automazione che può consentire di mantenere le presenze capillari attuali, ma con una presenza di "umani" decisamente ridotta.

Insomma, un taglio drastico di molte migliaia di sportelli tradizionali in larga parte grazie al sempre più diffuso e-banking e all'automazione sempre più spinta e ove possibile assistita da pochissimi dipendenti in carne e ossa e operanti su nastri orari molto lunghi e la riduzione di 50 mila dipendenti nel prossimo triennio, e poi così nei due trienni successivi, assumendo contemporaneamente un numero più ridotto di giovani selezionati e formati in modo da poter essere immediatamente operativi in poco tempo, tutte ipotesi che rilanciavo in diverse puntate del Diario della crisi finanziaria pubblicate nelle settimane e nei mesi scorsi ben prima che il Governo raggiungesse un'intesa preliminare con l'ABI per finanziare, chi dice con 100 chi con 150 milioni di euro, il Fondo di settore adibito alla gestione degli esuberi e operante a stretto contatto con l'INPS.

Nel frattempo, come in ogni guerra che si rispetti, ci sono stati sei decessi di banche, le prime quattro, Etruria e le sue tre sorelle, salvate a spese delle altre banche e destinate ad essere acquistate praticamente gratis da qualche volenteroso, mentre le ultime due, Popolare di Vicenza e Veneto Banca, tecnicamente fallite, se le è prese, al prezzo di 2,5 miliardi, quel Fondo Atlante che ha quasi esaurito la sua dotazione  iniziale di 4,2 miliardi, mentre il suo clone  Atlante 2 ha ricevuto in dote 1,6 miliardi e li ha tutti impegnati per l'acquisto di buona parte delle sofferenze del Monte dei Paschi di Siena.

Ieri, due impegnative e niente affatto scontate assemblee dei soci del Banco Popolare e della Banca Popolare di Milano hanno dato il definitivo via libera al progetto di fusione che sarà operativo dal 1° gennaio del 2017, e tenete conto che si votava ancora, e per l'ultima volta, con il voto capitano ed era richiesta la maggioranza qualificata dei due terzi (una maggioranza che in BPM è stat raggiunta con non ampio margine), una decisione assembleare che fa nascere un gruppo con 4 milioni di clienti, 2.500 sportelli e un totale attivo di 171 miliardi di euro, di cui 120 miliardi di impieghi, che la proietta al terzo posto tra i gruppi italiani, scavalcando MPS. Avrei alcune cose da dire, in particolare su una delle due contraenti il contratto matrimoniale, ma sarebbe di cattivo gusto in occasione delle nozze, un risultato che sancisce però il secondo risultato positivo di fila per l'inedita coppia Guzzetti-Bazoli, la prima, contro Mediobanca e parte dell'establishment finanziario italiano nella disfida per la Rizzoli-Corriere della Sera e la seconda è rappresentata, appunto, dalla fusione Banco Popolare-BPM e si dice, visto l'interessamento della coppia dei due anziani ma molto navigati banchieri lombardi, che non vi è due senza tre!

* * *

Nella recente puntata del Diario della crisi finanziaria dedicata alle determinanti economiche che influenzeranno l'esito del referendum costituzionale che si terrà il 4 dicembre prossimo venturo, non potevo tenere conto di due eventi successivi alla puntata stessa, rappresentati il primo del significativo intervento di sostegno al Fondo per gli esuberi del settore bancario di cui parlo di sopra, mentre, per quanto riguarda la Legge di Bilancio, devo constatare che sono state confermate le anticipazioni delle settimane precedenti, anzi, le stesse sono state nettamente rafforzate, soprattutto negli aspetti che riguardano milioni di italiani in materia di sanità,  di previdenza, nonché l'uscita di scena di quella che Equitalia che per tanti italiani rappresenta un po' lo sceriffo di Notthingam! Da previsore, devo dire che, a questo punto e  fatti salvi imprevisti che possono  sempre accadere nelle prossime settimane, il risultato mi sembra proprio "one way", anche se, in materia elettorale e ancor più quando si tratta di un referendum costituzionale di questa rilevanza, la prudenza è assolutamente d'obbligo.

sabato 15 ottobre 2016

L'intellighenzia italiana sempre alla ricerca di un padrone


Qualcuno tra i lettori del Diario della crisi finanziaria storcerà la bocca rispetto al titolo di questa puntata, pensando che un argomento del genere non ci "cape" con il sommovimento che scuote i mercati finanziari e le economie reali dell'intero pianeta da oramai oltre nove anni, ma spero che chi avrà la pazienza di leggere questo testo fino in fondo capirà che il rapporto tra gli operatori dell'informazione, una parte sempre più corposa dell'ambito culturale più generale, e i protagonisti degli accadimenti economici e finanziari di questi anni  è davvero strettissimo e che molti degli errori compiuti da risparmiatori e investitori prima e durante la Tempesta Perfetta sono scaturiti anche da una informazione e l'opera di opinionisti "neutrali" che non hanno consentito, e tuttora non consentono, quel grado di conoscenza sufficiente per compiere scelte sagge e razionali; mi occupo dell'Italia perché è la realtà che conosco meglio, ma vi assicuro che l'erba del vicino non è così verde, fatta eccezione per alcune inchieste che hanno inferto duri, a volte durissimi colpi a potentissimi leader politici ed economici di tanti Paesi all over the world.

Il tema della subordinazione degli intellettuali al Potere, di qualsiasi natura esso sia, affonda le sue radici agli albori della Storia conosciuta e alla ripartizione del lavoro che vide nascere la categoria dei sacerdoti a fianco di quelle dei guerrieri, degli agricoltori, degli artigiani e chi più ne ha ne metta, una distinzione, cioè, tra chi operava fattivamente e chi doveva il suo sostentamento all'esercizio della religione e al favore del sovrano, ma, poiché sarebbe impossibile partire da così lontano, ho scelto di iniziare da un episodio che riguarda da vicino il nostro Paese ed è quando, alla richiesta perentoria, pena il licenziamento, fatta ai docenti universitari italiani di giurare fedeltà al fascismo solo un numero che si conta sulle dita di pochissime mani ritenne che non fosse possibile coniugare l'insegnamento e la ricerca e l'adesione a priori ad un regime politico totalitario come fu, per oltre un ventennio, il fascismo, una vergogna, per i docenti universitari dell'epoca che fa il paio con la sostanziale assenza di reazioni che vi fu quando vennero allontanati i docenti universitari di fede ebraica, come il nonno di quell'Augusto Graziani che fu il mio relatore di laurea alla fine degli anni Settanta.

Credo sinceramente che, seppur così lontano nel tempo, questo episodio sia la vera base di quel "tengo famiglia" che, secondo uno intellettuale dotato di grande spirito critico italiano, andrebbe inciso a grandi lettere sulla nostra bandiera nazionale, così come l'informazione in quel periodo era tutto meno che l'esercizio del libero pensiero e di una critica anche costruttiva, due elementi che forse avrebbero impedito l'entrata in guerra dell'Italia che avrebbe potuto in questo seguire l'esempio di un paese vicinissimo alla Germania nazista come la della Spagna franchista, della Svizzera e di pochissimi altri Stati europei.

Ma questa abitudine al conformismo  e all'allineamento con i potenti di turno sia politici che magnati dell'economia è transitato pari pari nell'Italia del dopoguerra, periodo nel quale giornalisti e "liberi pensatori" si schierarono di qua e di là ma, in entrambi i casi senza dimostrare quello spirito critico che tanto sarebbe stato necessario per fare sì che l'opinione pubblica non fosse costretta ad aderire ad una visione acritica basata sulla fede cattolica da un lato o sulle fede cieca nel Sol dell'avvenire dall'altra. 

Ed è in questa contrapposizione frontale che allignò il vero male oscuro del nostro Paese e che è rappresentato dalle società segrete, delle quali la Massoneria non è che una delle tante e forse nemmeno la più influente, società nelle quali, come dimostrano gli elenchi della P2, convivevano bellamente  e  pacificamente esponenti di entrambi gli schieramenti, persone che di giorno si scontravano nelle aule parlamentari e che la sera si ritrovavano fratelli nella comune fede massonica, o in associazioni altrettanto segrete di ogni ordine e grado.

Introno ai trenta anni, ho iniziato a collaborare molto assiduamente nelle ore serali dopo il lavoro a quotidiani nazionali, agenzie di stampa, settimanali e mensili scrivendo oltre mille articoli in pochissimi anni, testate prevalentemente di sinistra o di proprietà di editori puri, e vi posso assicurare che vi erano meno ordini di scuderia in questi ultimi che nelle testate che spesso erano a sinistra del PCI, ma quello che mi ha colpito ovunque mi trovassi a collaborare era il fatto che non vi era un direttore, o caporedattore o capo servizio che dicesse esplicitamente quale era la linea editoriale del giornale, in quanto i giornalisti erano sveltissimi a capirla da sé, determinando quel fenomeno di massa che può essere definito autocensura, una malattia che ha afflitto quasi tutti i miei ex colleghi che sono poi rinati quando sono finiti in testate più "borghesi", cosa che mi era stata proibita dai più e vista come un comportamento assolutamente disdicevole.

La mia esperienza di controinformazione nei nove anni da quando è iniziata la Tempesta Perfetta, pubblicando in proprio il Diario della crisi finanziaria, mi ha convinto che c'è uno spazio enorme per chi non si vuole ridurre a fare il velinario e le centinaia di migliaia di visite ricevute dall'omonimo blog e il fatto che le stesse siano state effettuate da oltre cento nazioni mi hanno reso consapevole che questa attività assolutamente pro bono è molto più gratificante che essere uno schiavo retribuito dei poteri più o meno palesi o dei poteri occulti!

venerdì 14 ottobre 2016

L'orso siberiano batte un colpo!


Non credo vi sia stato soverchio stupore in quel de l'Eliseo quando è giunta la notizia dell'annullamento della visita che Vladimir Putin, ex colonnello  del KGB a lungo di stanza nell'ex Germania dell'Est, l'uomo che ha "messo a posto" nel 2008 la Repubblica Georgiana e che si è pappato in un solo boccone quella Crimea per cui in un lontano passato hanno versato il loro sangue tanti soldati e ha armato la mano degli indipendentisti ucraini e che sta facendo, insieme al figlio di Assad, della città di Aleppo uno dei più grandi cimiteri a cielo aperto che la Storia a partire dal secondo dopoguerra mondiale ricordi, e mi scuso in anticipo perché il cursus honorum di questo autentico figlio della Guerra Fredda l'ho ricostruito a memoria, controllando soltanto qualche dettaglio sul conflitto russo georgiano che è poi il secondo perché il primo ebbe luogo negli anni Venti del secolo scorso e lascio al lettore di indovinare chi ebbe la meglio tra la neonata Unione delle repubbliche Socialiste Sovietiche e la sventurata Georgia, destinata a diventare, appunto, una di quelle repubbliche, per non parlare del quasi completato sterminio dei ceceni, una tragedia che si è svolta in un arco temporale molto lungo nella totale, o quasi, indifferenza dell'Occidente industrializzato.

Non vi è stato stupore come dicevo né in Francoise Hollande, che si era interrogato nei giorni scorsi, quasi un novello Amleto, in diretta televisiva sull'opportunità o meno di questa visita, né tantomeno nei suoi ministri, anche perché uno di questi aveva apertamente parlato della necessità di deferire il leader maximo di tutte le Russie al tribunale penale internazionale di stanza nella città olandese dell'Aja per crimini di guerra, quelli recenti compiuti in Siria, perché per quelli più remoti la comunità internazionale ha chiuso un occhio, o forse tutti e due, risvegliandosi all'improvviso dal suo torpore solo quando scoppiò il conflitto ucraino e, data per persa la Crimea dove da sempre stanziava la flotta russa, applicò, unitamente al resto dell'Occidente, dosi crescenti di sanzioni ed espulse drasticamente il capo del Cremlino dal consesso del G8, declassato improvvisamente a G7, un attivismo dovuto al fatto che l'Ucraina aveva da tempo un patto di intervento difensivo con la NATO, organizzazione alla quale all'epoca aveva anche fatto domanda di adesione.

Siccome ho notato che anche i più affezionati lettori del Diario della crisi finanziaria, quelli, per intenderci, che lo seguono, e nei momenti migliori da oltre cento Paesi del mondo, sin dal 2007, hanno la tendenza a dimenticare, se non a rimuovere, i principali accadimenti delle diverse fasi della Tempesta Perfetta,  e ho visto che questa tendenza all'oblio è ancora più forte per gli accadimenti geopolitici, vorrei fare di seguito un breve riassunto di quello che è accaduto dopo la svolta impressa all'URSS e al PCUS da Michail Gorbachev, l'uomo che verrà più tardi insignito del Premio Nobel per la Pace.

Come non tutti ricordano, per buona parte della sua carriera politica Gorbachev fu un ligio e inquadrato alto burocrate del PCUS e non è assolutamente chiaro come riuscì a diventare Segretario Generale del partito e leader massimo dell'URSS, incarico che svolse inizialmente senza imprimere grandi scosse al modus operandi di quella grande unione di Stati contornata da sei importanti Stati satelliti, mentre, da un certo momento in poi, prima con la Glasnost e poi con la Perestroika diede vita ad un movimento che produsse lo scioglimento del Partito, l'indipendenza dei paesi dell'Europa dell'Est, la caduta del Muro di Berlino nel 1989, avviando al contempo il processo di maggiore autonomia delle diverse repubbliche che poi si trasformò, cosa che non era assolutamente nei suoi auspici, nel più rapido e drastico processo di indipendenza della maggior parte delle Repubbliche che componevano fino a quel momento l'URSS, un percorso che vide al contempo la dissoluzione di quello Stato nello Stato che era rappresentato dal KGB.

Pur guidando il partito con pugno di ferro e pur controllando con piglio deciso il KGB, quello della sopravvivenza fisica prima ancora che politica del leader russo anche solo a uno dei vari passaggi che ho appena ricordato è un mistero che non trova ad oggi spiegazione convincente, fatto sta che poco tempo dopo averlo completato questo percorso ad ostacoli e quando si aspettava che le Repubbliche avrebbero aderito in massa al suo progetto di Federazione attorno al nucleo centrale della Russia, vi fu uno stranissimo colpo di Stato che portò in tempi rapidi uno dei suoi principali alleati, Boris Eltsin, al potere, con la conseguente dissoluzione dell'Unione e il più grande processo di depredazione delle ricchezze russe in favore di un manipolo di protetti dal regime che la storia ricordi, un processo che, grazie anche al precarissimo stato di salute del nuovo leader, portò all'assalto al potere di Vladimir Putin, che mantenne i rapporti con una parte di questi nuovi ricchi, l'altra la cacciò in galera o costrinse all'esilio, e rimise tutto il potere nelle sue mani, potere che da allora ha esercitato ininterrottamente, a volte da Premier, più spesso come Presidente, ma sempre come leader indiscusso della resuscitata Madre Russia.

Non voglio tediare oltre il lettore con l'epopea putiniana, ma ricorderò soltanto che il suo potere passa per un controllo totale del settore statale, delle forze armate e dei servizi segreti, che non si chiameranno più KGB ma non sono molto da meno di quella potentissima organizzazione, del petrolio (si vedano solo il recente accordo con la Turchia e il ruolo, in verità molto ambiguo, che sta giocando nei confronti dell'OPEC cui può favorire il successo della operazione di cartello volta a consentire un aumento dei prezzi), questo solo per citare le principali leve nelle mani di un uomo che ha saputo risvegliare l'orgoglio nazionalistico dei russi, quelli stessi russi chiamati oggi ad ammassare scorte alimentati e a partecipare ad esercitazioni militari riservate ai civili!

La novità degli ultimi giorni sta nel fatto che sono stati rivolti appelli alla popolazione per prepararsi a tempi molto duri, mentre al contempo si stanno ammassando in quantità eccezionali riserve di grano e di altri generi di prima necessità, un qualcosa che negli ultimi decenni, e comunque dalla fine della Guerra Fredda non si era visto e che fa pensare che, oltre al modo più che discutibile in cui si sta in Siria, potrebbe essere giunto il tempo per Putin di completare l'operazione avviata in Ucraina qualche tempo fa.

Ma la spinta all'espansionismo russo potrebbe essere ancora più ambizioso e riguardare le tre repubbliche baltiche, mentre è sicuro che da Mosca si guarda con grande interesse sia al grande freddo tra la Turchia e l'Unione europea, così come non è troppo distaccato lo sguardo che viene rivolto alle posizioni dei Paesi dell'ex Europa dell'Est che ormai dichiaratamente mal sopportano alcune decisioni provenienti da Bruxelles, in materia di obbligo all'accoglimento dei migranti, ma non solo.

* * *

Per chi fosse interessato alla versione di Gorbachev sulla fase che ha preceduto la dissoluzione dell'URSS e lo scioglimento del PCUS, consiglio la lettura del dialogo che l'ex leader russo ha intrattenuto con Daisaku Ikeda, presidente della Soka Gakkai Internazionale, un movimento religioso buddista giapponese che si ispira al maestro giapponese Nichiren Daishonin vissuto nel XIII secolo, e che è stato raccolto in un libro intitolato "Le nostre vie si incontrano all'orizzonte" edito in Italia da Sperling e Kupfer.

* * *

Per chi segue il Diario della crisi finanziaria dalla ripresa delle pubblicazioni nel febbraio del 2016, non sarà una novità che tra le caratteristiche della terza ondata della Tempesta Perfetta vi era la enorme bolla creditizia esistente in Cina e che la conseguente rarefazione dei finanziamenti da parte di queste banche tecnicamente fallite stava mettendo in crisi l'apparato produttivo, in particolare quello statale, e ora i primi segnali iniziano a vedersi con vero e proprio crollo alte del 10 per cento nell'ultimo dato disponibile, in presenza di quasi un 2 per cento di crescita dell'import.