giovedì 13 ottobre 2016

L'exodus dei bancari italiani: raggiunto l'accordo Governo ABI


Come avevo scritto in più di una puntata del Diario della  crisi finanziaria pubblicate negli scorsi giorni e nelle scorse settimane, il coro di voci più o meno autorevoli che reclamavano a gran voce una drastica riduzione del numero delle banche e, ancor più, dei bancari italiani si era fatto veramente assordante, al punto che avevo scritto che a queste voci mancava davvero solo quella di Sua Santità Francesco I, che, per sua e nostra fortuna,  ha cose davvero più importanti a cui dedicare il suo magistero, come, ad esempio, trovare un modo per fermare quel vero e proprio bagno di sangue che è diventata la guerra civile in Siria.

Ebbene, come spesso accade, tanto tuonò che piovve ed è di ieri la notizia che il Governo avrebbe raggiunto una intesa di massima con l'Associazione Bancaria Italiana per favorire, mediante finanziamento per 150 milioni di euro del Fondo di settore che ha come principale mission quella di accompagnare alla pensione i lavoratori e le lavoratrici delle aziende di credito operanti in Italia, un esborso che dovrebbe consentire l'uscita di 50 mila dipendenti in un triennio, una misura che come l'anticipo pensionistico è presumibilmente pensata per essere rinnovata alla scadenza indicata, con il risultato che potrebbe portare, in un arco temporale decennale, all'uscita di 150 mila dipendenti del settore del credito che, guarda caso era contenuta nella forchetta di cifre (150-200 mila) indicate dal Premier Renzi nel corso di una sua recente uscita pubblica in una importante città del Nord del nostro Paese.

Come anticipato da La Repubblica e La Stampa, i relativi provvedimenti dovrebbero giungere nei prossimi giorni e così anche la formalizzazione della cifra stanziata per venire incontro ad un settore in profonda trasformazione e che finora si è fatto integralmente carico di decine di migliaia di esodi avvenuti negli ultimi venti anni, provvedimenti che affiancano la decisione del Governo di consentire nei mesi scorsi l'allungamento dell'arco temporale previsto di permanenza del lavoratore nel Fonda dai precedenti cinque agli attuali sette anni, un periodo che ricalca quello adottato negli anni scorsi in Alitalia.

Avendo partecipato, con ruolo di supporto tecnico, alle trattative per il rinnovo di diversi  contratti collettivi di lavoro del settore del credito, conosco bene la mentalità dei banchieri italiani e dell'Associazione che li raggruppa e posso perciò dire con assoluta sicurezza che il clima che si doveva respirare nei saloni nobili di Palazzo Altieri doveva essere davvero festoso e che, andati via i rappresentanti del Governo, lo champagne deve essere scorso davvero a fiumi, perché due, se non tre sono gli importantissimi risultati che una categoria, come quella dei banchieri italiani, che non brilla certo per coraggio e determinazione si è vista servire su un piatto d'argento la soluzione di un problema annoso, quale è quello del sovradimensionamento degli organici di cui aveva per decenni sostenuto pagando il conto a piè di lista passare in gran parte a carico dello Stato.

Ma il secondo dei motivi che hanno avuto i banchieri nostrani per festeggiare  è dato dal fatto che con questa intesa dovrebbe venir meno l'annosa diatriba tra il carattere volontario o obbligatorio delle liste per l'accesso alle prestazioni del Fondo di settore che,  lo ricordo, è costituito presso l'INPS che eroga le relative prestazioni per trasformarle, alla fine, in una pensione vera e propria, previa presentazione della relativa domanda, una situazione che fa sì che gli esodati del credito siano i più garantiti di quella fattispecie che ha visto, invece, situazioni davvero drammatiche e di vero e proprio allarme sociale, situazioni che i diversi Governi che si sono succeduti dopo l'approvazione della severa Legge Fornero hanno dovuto affrontare emanando diversi provvedimenti di salvaguardia dei quali è in cantiere con la Legge di Bilancio la numero otto.

La mia frequentazione alquanto assidua di Palazzo Altieri, che lo ricordo è la sede dell'ABI, mi fa dire che attorno al punto dell'obbligatorietà o volontarietà di questo davvero gran numero di uscite vi sarà la solita pantomima che avrà il suo punto di caduta nell'alquanto ovvia riaffermazione del fatto che si ricorre in prima battuta alla volontarietà, ma che se questa, in termini quantitativi ma ancor più qualitativi, non dovesse essere giudicata adeguata dai vertici della singola banca, allora si procederà con le "maniere forti" e sarà la banca a dedicare chi deve lasciare il posto di lavoro per aderire obbligatoriamente al Fondo.

Il terzo e un po' inconfessabile motivo di gioia dei banchieri è dato dal fatto che l'effetto benefico sui conti economici delle banche derivante da questo accordo con il Governo fornisce loro ossigeno e tempo per rinviare quelle fusioni e acquisizioni che sono per loro come l'odioso gioco delle sedie, anche perché quando si ferma la musica non sanno se troveranno una sedia, o meglio poltrona, per sedersi!

Poche ore prima della notizia dell'intesa preliminare tra Governo e ABI, il giovane amministratore delegato e direttore generale di BNL, Andrea Munari, da poco meno di un anno in carica, ha scoperto le carte sul suo primo piano industriale che prevede una rifocalizzazione verso la clientela affluent e le imprese, mentre la minore attenzione alla cliente è testimoniata da un lato dalla chiusura di cento dipendenze e dall'altro dalla individuazione di 700 esuberi da avviare, più o meno volontariamente, al Fondo di solidarietà, mentre un numero pressoché analogo di dipendenti dovrà lasciare la Direzione Generale per essere utilizzato all'esterno della stessa. Insomma, la banca di Via Veneto potrebbe essere la prima beneficiaria dei fondi pubblici destinati a favorire il dimagrimento degli organici delle banche!

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